Questo racconto è stato scritto per il concorso “I racconti della Masca”, seconda edizione. È stato scelto per far parte dell’antologia (la trovate qui) e lo condivido volentieri in questa giornata di festa così diversa dal solito. Lo si può definire un “horror light“, come sempre ambientato sul territorio della mia amata Regione. Buona lettura!
Maltatuaggio
«Guarda questo! Che figo! Cosa ne pensi?»
Gli occhi di Heidi si illuminarono, fissando alternativamente il disegno che aveva trovato sull’album e gli occhi di Giorgio.
«Ma quale, scusa? Quella specie di doppio punto di domanda?»
«Sì, sì! Proprio quello! Non ti piace?»
Il ragazzo la fissò con uno sguardo perplesso, spostando poi l’attenzione sul disegno.
«Mmmh, sì, dai. Non è male. Non mi fa impazzire, ma non è male. Cosa significa?»
«Non lo so, ma qui è catalogato nei simboli d’acqua. Io stavo cercando proprio qualcosa di particolare sull’acqua, dato che sono dello scorpione. Magari, invece che far disegnare i due punti di domanda, come li hai chiamati tu, netti e con tratto deciso, chiederò al tatuatore di farli sfumati, come se fossero stati realizzati da un pennello. Che ne dici?»
Il ragazzo rifletté un attimo. Poi, sorridendo: «Ma sì, l’idea è buona. Sarebbe una cosa originale. In linea con il tuo modo di essere, tutto sommato!»
Heidi sorrise maliziosamente, per poi lasciarsi andare a un «Allora, è deciso!»
Si avvicinarono al bancone dello studio, dove Giulio, il tatuatore, stava lavorando a un disegno.
«Ho deciso. Volevo prenotarmi per fare questo.», disse indicando il disegno, «Però, se possibile, vorrei che il tratto delle due parti che lo compongono fosse meno deciso, come se fosse realizzato con un pennello. Si può fare?»
L’uomo guardò il foglio, annuendo subito dopo: «E dove penseresti di farlo?»
«Pensavo sul braccio, in alto, all’altezza della spalla. Oppure sull’inguine. Tu dove mi consigli?»
«Io ti tatuo dove vuoi, ma a me i tatuaggi sulle braccia, nelle ragazze, piacciono poco. Forse, pancia e inguine sono più adatti.»
«Allora, va bene sull’inguine alto, qui a sinistra.», disse, alzando leggermente la maglietta.
Giulio prese in mano l’agenda, aprendola sulla giornata: «Sei fortunata! Il prossimo appuntamento mi è saltato, lo vedo adesso. Se vuoi, possiamo farlo anche subito. Altrimenti, c’è da aspettare un mesetto.»
Non se lo fece ripetere due volte: «Pronta!»
«Allora, dammi dieci minuti per preparare il disegno, poi ti chiamo io.», disse, alzandosi e allontanandosi verso il retro.
«Che culo!», esclamò la ragazza, mentre si sedeva accanto a Giorgio sul divanetto.
«Sì, come sempre, sei fortunatissima!», rispose lui.
La realizzazione del tatuaggio durò un paio d’ore – «Le più dolorose della mia vita!», disse uscendo – e, appena terminatolo, i due ragazzi si avviarono verso casa di lei.
«Stasera ti fermi a dormire da me, così festeggiamo il tatuaggio!», disse Heidi, con un sorriso malizioso.
Il pomeriggio trascorse tranquillamente, tra un post della ragazza sul suo blog – studiava da influencer – e tanta buona musica, non senza lo scambio di qualche effusione.
Mangiarono quanto lui aveva cucinato – era in ferie, ma rimaneva pur sempre un cuoco! – e si accoccolarono sul divano a vedere un film.
«Le streghe di Salem? Ma sei fuori? Lo sai che poi non dormo!»
«Ma dai, Heidi! Non mi dirai che ti fai turbare dalla finzione dei film come un’adolescente?»
«Adolescente o no, non è il film a cui avevo pensato per stasera!»
«Beh, dai, cominciamo a vederlo. Poi, se proprio non ti va, cambiamo genere, ok?»
Le scene del lungometraggio si susseguivano in un crescendo di ritmo, non senza che la ragazza – la testa appoggiata sul petto di lui – si stringesse a Giorgio, in corrispondenza di quelle più cruente.
«Ehi! Puoi aprire gli occhi! Il film è finito!»
«Sicuro? Guarda che se non è vero, stanotte dormi sul divano e io mi chiudo in camera da sola!»
«Ma non ti preoccupare! È finito sul serio!»
«Che film di merda hai scelto! La prossima volta ci penso io!»
«Guarda che hai appena assistito a un capolavoro dell’horror, diretto da uno che definire visionario è dire poco!»
«Capolavoro o no, adesso ho voglia di andare di là. Mi spalmi un po’ di bepantenolo sul tatuaggio? Mi dà abbastanza fastidio!» disse, alzandosi dal divano e tendendogli la mano sinistra.
Giorgio non se lo fece ripetere due volte, afferrando la sua mano e seguendola in camera da letto.
Le tolse la maglietta, mettendo in bella evidenza il cellophane che Giulio le aveva applicato qualche ora prima, per lasciar spurgare il tatuaggio.
«Mamma mia, com’è rosso! Sembra quasi sanguinare!»
«Adesso vado in bagno e lo lavo come mi ha detto lui, con una spugnetta morbida e il sapone neutro. Certo che brucia, eh!»
Si assentò per un paio di minuti, ritornando vestita solo degli slip. Si coricò a fianco di quello che ormai da quasi cinque anni era il suo fidanzato, che la attendeva con il tubetto di bepantenolo aperto e una malsana voglia di massaggiarla.
Dalle carezze cremose ai preliminari il passo fu brevissimo, così che si ritrovarono caldamente avvinghiati l’un l’altra, prestando attenzione a non toccare troppo la sede del tattoo.
Si addormentarono, dopo più di un’ora di coccole, baci e altro, sfiniti e sudati, verso la mezzanotte.
All’improvviso, un tonfo sordo svegliò il ragazzo.
La luce dei lampioni, che passava attraverso le tapparelle lasciate rade, gli mostrò qualcosa di assurdo: Heidi, a pochi centimetri da lui, galleggiava nell’aria, mezzo metro sopra il materasso, come se vi fosse appoggiata, supina, con le braccia lungo il corpo e i palmi delle mani verso il basso. Tutt’intorno, una strana aura rossa. I lunghi capelli, come appoggiati sul cuscino, a creare una sorta di corona intorno al capo.
«Oh, Cristo! Ma che cazzo sta succedendo?», esclamò ad alta voce.
Nemmeno un secondo dopo, la ragazza aprì gli occhi. Due fasci di luce color rosso sangue illuminarono la stanza, concludendo la loro corsa sul soffitto; l’aura si fece tutto ad un tratto più forte e invadente.
Giorgio cadde dal letto, rannicchiandosi in prossimità della finestra, dove il comodino creava un piccolo anfratto con il muro.
“Un incubo! Non può essere altro che un incubo!”, pensava tra sé e sé, guardando quella scena che il suo regista preferito non avrebbe potuto ricreare così terribile.
La testa di Heidi, con una lentezza snervante e terrificante al tempo stesso, si stava girando verso di lui. Dalle narici, altre due sciabole rosse. La bocca, che nel frattempo si stava aprendo, pareva una fornace infernale.
Giorgio, decisamente più impaurito rispetto a qualche ora prima davanti alla televisione, strisciò con la schiena contro il muro, rimettendosi in piedi. Accese l’abat-jour – che produceva una luce da morto decisamente adatta alla situazione – e intravvide nel cassetto aperto del comodino una statuina di plastica della Santa Vergine, di quelle piene dell’acqua di Lourdes. Senza pensarci due volte, allungò la mano e se ne impossessò, svitando immediatamente il tappo e gettando alcune gocce del liquido contenutovi verso la sua ragazza.
Emise un urlo senza suoni, come se appartenesse ad un mondo che non era quello reale, cominciando a produrre fumo nei punti che avevano incocciato l’acqua e cadendo all’indietro, sul letto.
Il tonfo, sebbene sul morbido, la risvegliò.
«Perché mi guardi con quell’espressione di terrore negli occhi?», gli domandò, proprio mentre le ginocchia – che tanta fatica avevano fatto per riportarlo in posizione eretta – gli cedettero rovinosamente, facendo sì che nella caduta picchiasse la tempia destra sul davanzale di marmo della finestra e svenisse.
Riaprì gli occhi, con lo sguardo completamente annebbiato, solamente quando Heidi gli passò sotto il naso l’aceto, dopo essersi presa cura della ferita che si era procurato alla fronte.
«Cosa è successo? Perché mi sei sopra? Mamma mia… che mal di testa!», farfugliò.
«Non lo so: eri in piedi nell’angolo della camera e mi stavi guardando come se avessi visto un fantasma o qualcosa di simile. Poi sei andato giù come un sacco di patate e hai picchiato la testa. Ti usciva il sangue e ti ho medicato, poi ho provato a farti rinvenire, ma avevo già il telefono pronto per chiamare il 112!»
«Mamma mia!», ripeté, puntando i gomiti per cercare di alzare il busto e la testa, «Non mi ricordo niente. So che abbiamo cenato, abbiamo guardato il film, poi siamo venuti di qua e… il buio più totale.»
«Ah, bene! Non ti ricordi niente di quello che abbiamo fatto!», disse lei, con finta aria seccata.
«Eh, no… l’ultima cosa che mi ricordo di aver fatto è alzarmi dal divano. Che ore sono?»
«Le cinque e mezza. Cosa dici? Cerchiamo di dormire ancora un po’?»
Annuì, aggrappandosi al letto per alzarsi. Si diresse, barcollando, verso il bagno, dove si risciacquò il viso. Tornato nella stanza, trovò la ragazza che fissava qualcosa a terra.
«Cosa guardi?»
«Quella statuetta della Madonna. Era nel cassetto del comodino, colma d’acqua d Lourdes, mentre ora è per terra, aperta e mezza vuota. L’hai presa tu?»
«Non lo so, te l’ho detto. Non mi ricordo assolutamente nulla.», disse quasi infastidito, chinandosi per raccogliere quell’ampolla.
Riposta che l’ebbe nel cassetto, si coricò di fianco a Heidi, con la testa dolorante e un senso di profonda spossatezza. La ragazza, non appena si fu riaddormentato, si sedette sul letto, le gambe incrociate, a medicarsi il tatuaggio.
“Mamma mia! La pelle è caldissima! Mi sa che ho la febbre!”, pensò. Cercò il termometro e la misurò. Trentaquattro e tre. Praticamente cadavere. Appoggiò poi lo strumento digitale sul tatuaggio. Trentanove e sei. Decisamente, qualcosa non stava andando per il verso giusto.
Si assopì per qualche minuto, con negli occhi la scena che aveva visto quando s’era svegliata, un’oretta e mezza prima.
“Ha visto quel film senza battere ciglio e poi me lo ritrovo terrorizzato, chiuso in un angolo della camera come se volesse scappare attraverso il muro. Cosa può averlo spaventato così?” fu il pensiero che la condusse verso quella breve perdita di contatto con la realtà.
***
«Devo andare da Mario, il settimino[1]. Vieni con me?»
La domanda di Giorgio interruppe il silenzio nel quale stavano consumando quella colazione.
«Certo. Ma come mai? Ieri non ne abbiamo parlato.»
«No, in effetti. Quello che è successo stanotte non mi lascia tranquillo. Quando mi sono riaddormentato ho fatto uno strano sogno e vorrei parlargliene. Oltre al fatto che la testa mi fa male e che penso di essermi maledetto il collo, cadendo. Ho la cervicale che mi sta facendo impazzire e lui è anche in grado di alleviare il dolore di questo tipo con i massaggi.»
Breve silenzio, poi Heidi riprese: «Non te l’ho mai detto, ma questa cosa del settimino mi ha sempre lasciata perplessa.»
«Cosa intendi?»
«Voglio dire: siamo nel terzo millennio, circondati da tecnologia di ogni genere, dallo scetticismo più totale anche nei confronti delle scoperte della scienza e tu… tu credi ancora al settimino. Uno disincantato come te? Mi lascia un po’ perplessa, ecco.»
Altra pausa, questa volta voluta e volutamente teatrale, poi: «Vedi: il mio non è “credere” al settimino. Quando ero bambino, mi ha salvato la vita.»
«Scusa?»
«Avevo otto anni. Stavo malissimo e nessun medico riusciva a capire cosa avessi. In un mese avevo perso moltissimo peso e stavo realmente deperendo a vista d’occhio. Esami del sangue tutt’altro che perfetti, ma nessuna cura faceva effetto. I miei, disperati, mi portarono da lui. Mi guardò in silenzio. Mi squadrò. Cominciò a sfiorarmi con le mani partendo dalla testa e scendendo piano piano su tutto il corpo, non lasciando nemmeno un centimetro quadrato della mia pelle inesplorato. Arrivò sulla pancia, si fermò in un punto preciso, per poi dire: “Qui. Ha un ascesso proprio qui. Portatelo subito all’ospedale.”»
Altra pausa, mentre la ragazza lo fissava con curiosità mista a stupore.
«Il giorno dopo ero in sala operatoria. Un ascesso al colon. Ancora due giorni e ci avrei rimesso le penne.»
Heidi fissò per qualche secondo il vuoto, poi lo abbracciò e lo baciò con passione: «Allora, devo essergli riconoscente anche io, perché non saresti qui con me!»
Terminata la colazione, con calma, si prepararono, per poi scendere e prendere la Smart della giovane e dirigersi in aperta campagna.
Il cascinale di Mario era immediatamente identificabile: quattro cascine a chiudere un’aia molto grande, con un grande ingresso che, nottetempo, veniva chiuso da un enorme portone in legno, che già da un po’ aveva compiuto il secolo di vita.
Delle cascine, una sola era abitata, mentre le altre erano ormai adibite a magazzini. Per metà, il cortile era occupato da macchinari agricoli già agé – per così dire – ancora perfettamente funzionanti e quotidianamente utilizzati.
Scendendo dall’auto, il tipico aroma di campagna – misto tra odor di pollaio, di stalla e di erba appena tagliata – invase le loro narici. L’uomo, in piedi davanti a un trattore del quale stava curando la manutenzione, andò loro incontro pulendosi le mani in un canovaccio.
Ormai quasi ottuagenario, minuto, ma dritto come un fuso, fisicamente non dimostrava per nulla la propria età. Solo il viso, colmo di rughe scavate e con la pelle bruciata dal sole – tipica di chi ha lavorato decenni nei campi – poteva dare qualche indicazione sull’aspetto anagrafico.
«Giorgio! Sei tu? Che béla surpreisa!»
«Mario! Come sta? Sempre indaffarato con i suoi macchinari, eh?»
«Sach it vòrï? Il lavoro non va mai in vacanza, in campagna! E chi è questa bella signorina? La to murusa?»
Heidi si avvicinò sorridendo, la mano tesa per stringergliela.
«Venite, venite. Accomodiamoci sulle panchine là in fondo, all’ombra, vicino al fienile.»
Si sedettero proprio mentre una piacevole brezza si stava alzando.
«Allora. Che succede? E cosa hai combinato, lì, sulla fronte?»
«Diciamo che è uno dei motivi per i quali sono passato a trovarla. Stanotte sono caduto in casa e mi sono procurato questa ferita, oltre a un contraccolpo al collo che mi causa una forte cervicale. Avrei bisogno di un massaggio, se possibile.»
L’uomo si alzò lentamente dalla panca, si avvicinò al lavabo posto all’interno del fienile e si lavò le mani, insaponandole ben bene. Tornò un paio di minuti dopo, una boccetta d’olio canforato in mano e le maniche rimboccate.
«Vuguma in poch. È qui che ti fa male, vero?», domandò, toccandogli la base del collo e la parte cervicale della colonna.
«Sì, esatto. Proprio lì!»
«Hai una contrattura importante, ma possiamo metterla a posto con un bel massaggio! Ma non è l’unica cosa che ti ha portato qui, vero? Prima hai detto “uno dei motivi”…»
«Sì, Mario, è vero. Non so se potrà darmi una mano, ma stanotte, dopo aver picchiato la testa – il che mi ha fatto anche perdere parte della memoria a breve termine – ho fatto un sogno. Un incubo, direi.»
«Bene. Raccontamelo.», disse con voce profonda e con il respiro scandito dai movimenti delle mani sul collo del ragazzo.
«Partiamo dal fatto che ieri sera, con Heidi, ho guardato un film dell’orrore che mi piace molto, Le streghe di Salem, che avrò già visto una ventina di volte. In questo film ci sono scene molto crude, che possono sicuramente avermi in qualche modo influenzato e possono aver “diretto”, diciamo così, il mio sogno. Ma…»
«Ma?»
«Ma non mi era mai successo che un film o qualsiasi altra esperienza della vita di tutti i giorni abbia influenzato i miei sogni. Anche perché, a mia memoria, io sogno veramente pochissimo.»
Sorrise: «Beh, vediamo di cosa si tratta. Curàge!»
«Dunque. In questo sogno stavo dormendo con lei in camera sua, quando ad un tratto mi sono svegliato di soprassalto. Cercandola con la mano, ho sentito la sua parte del letto vuota. Alzando lo sguardo, l’ho vista che fluttuava a mezzo metro dal letto, con un’aura rossa tutta intorno. Ho un ricordo confuso, perché questo sogno non era lineare e dai contorni ben definiti, ma mi è parso che abbia aperto gli occhi e che da essi uscissero due lame di luce rossa, di un rosso vermiglio, quasi color sangue, così come dalle narici e dalla bocca. Ahia! Ahia! Lì mi fa malissimo!»
L’uomo, in realtà, preso dal racconto di Giorgio, aveva agito con maggior vigore sulla parte dolorante. Il suo respiro, fino a quel momento lento, si fece all’improvviso più rapido: «Scusa! Cerco di fare più piano. Il sogno è finito così?»
«No, è proseguito ancora. E qui viene il bello. O il brutto. Le ho tirato qualcosa addosso – non ricordo cosa – e lei ha urlato, interrompendo quei flussi e cadendo di peso e con un tonfo sul letto. Poi, mi sono svegliato.»
Seguì un lungo silenzio, interrotto solamente dal rumore causato dallo scivolamento delle mani unte sul collo e dal respiro dei tre.
«Cosa rappresenta quel simbolo?»
La voce del settimino ruppe quel momento molto naïf. Dal top di Heidi, lucido di crema di bepantenolo, faceva bella mostra di sé il tatuaggio.
«Come?»
«Chiedevo cosa rappresenti quel simbolo sulla pancia.»
«Ah, il tatuaggio! Di preciso, non lo so: l’ho preso da uno dei cataloghi presenti nello studio dove l’ho fatto fare. C’era scritto che è un simbolo d’acqua e io cercavo proprio qualcosa di simile, essendo dello scorpione.»
«Capisco. Vedo che la pelle è molto rossa, intorno. Sembra quasi sanguinare ancora. Ti fa male?»
«In effetti, un po’ sì. Più o meno ogni ora lo pulisco con una garza e applico un nuovo strato di crema, per tenere la pelle idratata ed evitare che si formi la crosta. Tra l’altro…»
Si interruppe, per via di un concerto di muggiti proveniente dalla stalla.
«Non ti preoccupare: fanno sempre così quando vogliono uscire! Cosa mi stavi dicendo?»
«Stavo dicendo che stanotte, quando lui si è riaddormentato dopo la botta, mi sono misurata la temperatura e l’ho misurata anche sul tatuaggio, con un risultato che mi è sembrato strano: poco più di trentaquattro gradi quella ascellare, quasi quaranta quella sull’inguine.»
«Potrebbe esserci un’infezione in atto. Quando avrò finito con lui, se mi permetti, proverò ad applicarti un unguento lenitivo che dovrebbe risolvere il problema.»
«Certo, grazie mille!»
Mario si fece silenzioso, fino a quando non ebbe terminato di massaggiare Giorgio: «Ecco qua. T’ei praticament növ!»
Il ragazzo verificò la mobilità con alcuni movimenti di stretching, cui non seguì alcun dolore.
«Fantastico! Mi è anche passato il mal di testa!», chiosò. Poi: «E del sogno? Cosa mi dice?»
L’anziano fattore tentennò qualche secondo.
«Prima di parlare del tuo sogno, lasciami controllare il tatuaggio della tua fidanzata, perché ha un aspetto che non mi piace per niente.», disse, coprendo lo scroscio dell’acqua con la quale si stava nuovamente lavando le mani.
«Aspettatemi qui. Vado in casa a recuperare l’unguento del quale vi parlavo. Ui va in minüt.»
La giovane si appropinquò al fidanzato, abbracciandolo e baciandolo con passione: «Si vede che stai meglio: hai di nuovo gli occhi brillanti. Prima erano opachi, quasi spenti!»
«Sì, mi ci voleva proprio. Ma perché non mi hai detto del problema con il tatuaggio? Magari hai una piccola infezione e sarebbe meglio andare al pronto soccorso. Io non me ne intendo, però mi sembra veramente troppo rosso, quasi purulento.»
«No, non ti preoccupare. Sono sicura che, come ha fatto del bene a te, saprà far stare bene anche me. Mi sembra una persona che sa quello che fa e poi… gli devo il fatto di aver trovato l’amore della mia vita!», sussurrò sorridendo.
Mario non tardò.
«Allora: entriamo nello studiolo, dove ho un lettino. Coricatici e scopri bene la parte che ti fa male.», disse, introducendo i due in uno stanzino di due metri per tre.
«Siccome temo di farti particolarmente male, perché mi sembra molto infiammato, ti chiedo il permesso di legarti mani e piedi con le cinghie che vedi qui. Non ti preoccupare: Giorgio rimarrà qui e interverrà se riterrai di avere troppo male. Va bene?»
Lo sguardo di Heidi era particolarmente perplesso, ma incrociando quello del suo amato, si rassicurò: «Benissimo! Ho la massima fiducia in lei. Anche perché so quanto bene ha fatto al mio grande amore!»
«Bene. Alùra, andùma! »
Assicurò mani e piedi della ragazza in modo che non potesse fare movimenti inconsulti. Prese, poi, una lampada a stelo, con una potente lampadina alogena, che puntò sul tatuaggio.
Indossò due guanti di lattice, aprì con calma il boccettino con l’unguento e se ne spalmò un buon quantitativo sui guanti.
Avvicinò la mano destra al ventre della giovane, che fece un movimento quasi a volersi sottrarre. Velocizzò il gesto e la toccò proprio sul punto dolorante.
Si udì un ruggito inumano, mentre dalla carne si alzò un fumo scuro e nell’aria si diffuse il tipico odore di barbecue.
«Che cazzo sta succedendo?», urlò il ragazzo, «Perché sta così male? Perché la pelle frigge? Cos’è quel fumo?»
«Allontanati, velocemente! Surtuma da que!», urlò il settimino.
Si portarono immediatamente fuori dall’uscio, l’uomo in un bagno di sudore e il giovane terrorizzato come solo poche ore prima gli era successo.
«Ma cosa sta succedendo? Perché l’abbiamo lasciata lì a urlare? Cos’haaaaaaaa?»
Il tono era più che concitato, gli occhi spiritati e la volontà era quella di tornare dentro a liberarla.
«Stai fermo e lasciami fare. Le sto salvando la vita! E la sto salvando anche a te!»
«Me perché? Cos’ha? Cos’haaaaa?», gli urlò in faccia.
Mario non si scompose e, con tono calmo, cominciò: «Cul lé l’è nenta in tatuaggio: è un portale per il male!»
Giorgio si zittì di colpo, per poi domandare con un filo di voce: «Portale… per cosa?»
Dall’interno della stanza, nel frattempo, giungeva una voce che nulla aveva a che fare con il tono quasi cinguettante della sua dolce metà: «OI IV OCIDELAM! IDRATSAB! IV OZZAMMA!»
«La senti? Quella è la voce del male! Quel tatuaggio, quel simbolo, non è un disegno qualunque. Si chiama Còire ed è per eccellenza il simbolo fattucchiero del malocchio. Tracciato a terra durante i rituali o inciso su pietre e candele, ha la capacità di veicolare le energie oscure, garantendo il trionfo dell’arte megerica.»
«Arte megerica? Vuole dire che…»
«Sì, voglio dire che, in questo momento, Heidi è quanto di più vicino a una strega che noi possiamo immaginare. Forse, però, siamo ancora in tempo a liberarla da questo maleficio. Quello che le ho spalmato è olio santo, benedetto nella notte di Pasqua, che ha un enorme potere positivo e di purificazione. Devo assolutamente riuscire a farglielo assorbire tutto, per far sì che la maledizione che si è attirata addosso svanisca per sempre. Mi vuoi aiutare?»
Ancora sotto choc, annuì.
«Bene. Allora rientriamo e fai tutto quello che ti dico. Non lasciarti impietosire dalle sue richieste o da quanto potrà dirti. In questo momento, il suo obiettivo è distruggere me e distruggere te, che mi stai aiutando. Non ti preoccupare! Non morirà e, se tutto funzionerà a dovere, non avrete mai più a che fare con questa… cosa. An cun sa masca!»
Rientrarono. Il corpo di Heidi era sollevato dal lettino di una buona ventina di centimetri. L’aura coloro rosso sangue l’avvolgeva quasi come la fiamma avvolge un tronco secco. Gli arti e la testa si contorcevano in preda a spasmi che sembravano indicare una profonda sofferenza, mentre la bocca intervallava anatemi a sputi di una saliva nera e pastosa alla volta di quello che, solo allora Giorgio l’aveva capito, era ben più di un settimino.
Mario riprese in mano la boccetta di olio santo e se ne cosparse nuovamente le mani. Si avvicinò al letto, che nel frattempo si stava spostando da una parte all’altra della piccola stanza, per applicarlo nuovamente sulla carne ormai viva della ragazza.
«Prendi quell’aspersorio sul tavolino: è pieno di acqua santa. Bagnala con regolarità mentre io procedo qui!»
Titubante, il ragazzo prese lo strumento e cominciò a dirigerne il getto, con rapidi movimenti del polso, verso il letto. Ad ogni goccia che incocciava la sua amata, uno sbuffo di fumo si sollevava, come quando si getta acqua su una stufa a legna accesa.
«Amore mio, cosa fai? Mi stai uccidendo, mi fai malissimo! Cosa ho fatto di male per meritarmi questo?»
La sua voce era cambiata, divenuta quasi melliflua, sebbene urlata per il dolore. Giorgio ebbe un momento di titubanza, che consentì alla ragazza di concentrarsi sull’uomo e a colpirlo con violenza sul viso, facendolo prima barcollare e poi cadere al suolo, quasi svenuto.
«Liberami, amore, dai. Fammi andare via da qui! Lo vedi quanto male mi sta facendo quel bastardo? Non puoi lasciarlo fare! Liberami e ce ne andremo per sempre via da questo posto! Vivremo io e te insieme, senza regole e senza inibizioni… forza… liberami!»
Il giovane si avvicinò al giaciglio, gli occhi fissi su quelli di lei.
«Bravo! Così! Vieni vicino a me! Lo sai quanto ti amo e quanto io possa farti stare bene. Liberami e andiamocene da qui!»
Le mani di Giorgio si avvicinarono, con movimenti meccanici, alla cinghia che cingeva la caviglia destra. Cominciò, lentamente, a scioglierla.
«Ecco, bravo, così! Sei il mio amore! Sei il mio tutto! Sei… AAAAAAARGH! ODRATSAB! ODRATSAB!»
Il tono si fece nuovamente feroce e ruggente. Spostando gli occhi da lei, nuovamente trasfigurata, il giovane vide le mani di Mario poggiate sul tatuaggio, con l’inevitabile sfrigolio seguito dal puzzo di carne bruciata.
«Fàte nén freghé! Và nàn an cun s’aspersorii! Forsa!»
Il suo viso lasciava trasparire l’enorme sforzo profuso nella conduzione di quella lotta impari. All’improvviso, con un movimento totalmente innaturale, il piede libero di Heidi colpì in pieno volto l’uomo, facendolo nuovamente accasciare.
«Foza amore! Non dargli retta! Sono io la tua metà, il tuo sole, il tuo tutto! Liberami da queste cinghie e scappiamo via, lontano!», riprese con il tono suadente già usato in precedenza.
Catturati che ebbe i suoi occhi, lo condusse con lo sguardo nuovamente vicino al letto, che nel frattempo si era spostato di un mezzo metro abbondante.
«Coraggio! Sciogli anche le altre cinghie. Liberami!»
Nuovamente, le sue mani si avvicinarono, carezzandole la gamba libera. Poi, con mossa repentina, riprese la cintura sciolta pochi istanti prima e la cinse nuovamente intorno alla caviglia.
«ODRATSAB! ODRATSAB! ET EN IARITNEP! IT ÒREDICCU!»
Giorgio si avvicinò a Mario, ne sollevò il corpo da terra, prendendolo in braccio, e lo portò fuori dalla stanza.
Corse in direzione del lavatoio del fienile, appoggiando il busto dell’uomo al marmo del lavabo e aprendo al massimo l’acqua fredda. Non appena la nuca dell’uomo e il liquido entrarono in contatto, egli si riebbe.
«Come sta?»
«Bene. Forse… sa cu l’è capità?»
«L’ha stesa con un calcio. Ma adesso è di nuovo legata completamente al letto. Cosa possiamo fare?»
Dalla stanza, la cui porta era rimasta aperta, provenivano urla, grugniti, sussulti e ruggiti come da uno zoo o da una battaglia tra esseri non umani.
«Dobbiamo continuare. Tu con l’acqua santa, che la indebolisce, io con l’olio santo, che è l’unica cosa che possa chiudere quel varco. Non so come si sia potuto aprire, perché non credo che il tatuatore possa aver usato qualche inchiostro particolare, ma dobbiamo chiuderlo a tutti i costi. La carne, intorno al disegno, sta marcendo. L’unica cosa che possiamo fare e curarla con questi – pochi – mezzi che abbiamo a disposizione. Ce la fai?»
«Certo! Siamo sicuri che non morirà? Io amo quella ragazza!»
«Di sicuro c’è solo la morte, ma, fino ad oggi, mai nessuna è morta per questo tipo di rito.», chiosò con sicurezza.
Si scambiarono un cenno d’intesa e si portarono nuovamente all’interno della stanza.
La bocca di Heidi era coperta di bava nera. I lineamenti, paragonabili in origine a quelli di una diafana ninfa, completamente alterati. Da occhi, narici e bocca uscivano coni di luce rossa tendente al viola.
«Ecco, vedi? Il fatto che la luce stia cambiando colore vuol dire che sta funzionando!»
Tolse i guanti e s’impregnò d’olio, poggiandosi con tutto il peso sull’inguine della giovane. Giorgio, da parte sua, aveva completamente aperto l’aspersorio, versando una buona metà del suo contenuto sul viso della sua bella. Il ruggito che ne seguì rimbombò per chilometri, come il boato di una bomba.
I coni di luce volsero al viola scuro, poi al nero, per sparire nella penombra dell’angolo nel quale il letto si era fermato. La fronte ampia e corrugata si ritirò lentamente, lasciando spazio a quella liscia e graziosa di Heidi.
Braccia e gambe, fino a quel momento in tensione e nerborute come quelle di un boscaiolo, giacevano immobili sulle lenzuola. Il viso, finalmente, aveva ripreso i lineamenti originali.
Mario si accasciò a terra, esausto.
Giorgio, sudato come se avesse corso la maratona a ferragosto con il cappotto, titubò molto prima di sfiorare le mani della sua fidanzata.
Sembrava addormentata in un dolce sonno, il respiro lento e regolare, il tatuaggio apparentemente guarito.
Il ragazzo rimase qualche minuto inebetito, incapace di compiere qualsiasi gesto. Si mosse verso Mario, per aiutarlo a tirarsi su – era ancora disteso sul pavimento – e a riprendersi. Lo accompagnò sull’aia, dove il sole di mezzogiorno picchiava duro e il silenzio si era nuovamente impadronito di quegli spazi.
L’uomo andò a rinfrescarsi al lavatoio, immediatamente imitato da quello che si era rivelato un prezioso assistente.
«È tutto finito?»
«Credo di sì. Devo controllare il tatuaggio e usare ancora un po’ d’olio santo per vedere se ci sia qualche punto ancora “aperto”, ma credo proprio che il varco sia stato chiuso. Ai l’uma faïla!»
«Lei starà bene?»
«Sicuramente. Chi ha avuto, in passato, questo tipo di “incontri” non ne ha mai riportato conseguenze nella sua vita successiva. Sappi che lei è stata molto forte. Siine sempre orgoglioso. E sii sempre orgoglioso anche di te. Hai avuto coraggio, fede e amore. E questo l’ha salvata.»
«Ma cos’era quella… cosa?»
«Credo, ma non posso giurarlo, sia stata posseduta dallo spirito di una strega. Na masca. Non era il Maligno, perché altrimenti non saremmo riusciti a batterlo. Da come si sono messe le cose – la parlata al contrario, la levitazione, i coni di luce – direi che è stata usata come guscio da una potente megera.»
«E ora? Cosa devo fare?»
«Nulla di più di ciò che hai fatto fino ad oggi. Lei è esattamente com’era prima di questa brutta storia. Molto probabilmente, non si ricorderà nulla di quanto accaduto oggi, quindi, se vuoi, dille semplicemente che, per il dolore causato dall’unguento sul tatuaggio, è svenuta. Sta trnquìl!»
«D’accordo. Grazie. Come farò a sdebitarmi con lei?»
«Ragazzo, io sono qui per questo. Sarei io in debito se non facessi ciò per cui sono nato. A son in setmein!», gli disse, abbracciandolo e incamminandosi verso lo stanzino.
Il test dell’olio santo diede esito positivo, così che i due poterono sciogliere le cinghie e farla rinvenire.
«Cosa… cos’è successo?»
«Nulla di che: l’unguento bruciava a tal punto che sei svenuta.»
«L’unguento? Ah, sì, per il tatuaggio! Com’è andata?»
Mario prese la parola: «Puoi constatarlo tu stessa.»
Passò le punte delle dita sulla parte che le aveva dato così tanti problemi, ricevendone una bella sensazione.
«Accidenti! Non brucia più! E la pelle è così morbida! Grazie mille! Davvero!», esclamò, gettando le braccia al collo di quell’anziano signore, entrato per caso nella sua vita. O, forse, non così per caso.
Si accomiatarono – rigorosamente dopo aver accettato un pranzo a base di formaggi e verdure del podere – dandosi appuntamento per una successiva visita.
Heidi non ebbe mai, nei giorni successivi, alcun tipo di scompenso. Scompensi che ebbe, invece, il buon Giorgio. Abbandonò la sua passione per i film horror, gettandosi sulle più melense, ma decisamente meno foriere di brutti ricordi, pellicole d’amore.
Poi, giusto due settimane dopo quegli avvenimenti, accoccolati sul divano ad attendere un responso.
«Due stanghette! Il test è positivo! Sono incinta!»
L’entusiasmo di quella notizia, dell’abbraccio, strettissimo, che ne seguì, nella penombra della sera, le fece brillare gli occhi. Rossi come il sangue.
[1] Era convinzione contadina che coloro che nascessero prematuri (settimini) possedessero doti e poteri particolari. I settimini erano considerati figure incaricate dalle forze del bene a garantire a bambini, anziani, donne e uomini e animali uno scudo protettivo contro le innumerevoli forze del male.
© Roberto Grenna – Riproduzione vietata