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Ecco qualche altra pagina del romanzo “Il fiume”, che è acquistabile qui. Buona lettura!

«Stavi mica dormendo?»

«Abbastanza!»

«Scusa! Se sono di troppo me ne vado!»

«No, no! Resta pure!»

È curioso come io abbia mantenuto intatte nella memoria solo le immagini di quella gita che mi vedevano con lei. Non ricordo i nomi delle vie, confondo le chiese, i palazzi, a stento rammento le fattezze del David. I discorsi con lei, le sue espressioni. Persino il modo in cui era vestita. Ricordo tutto quasi come se di quelle cose conservassi delle fotografie o dei filmini. Man mano che il tempo passa, invece di sbiadire si fanno ancora più forti. Ci sedemmo vicino al piccolo scrittoio che era in un angolo. Congedò il cameriere con una mancia e diede due giri di chiave alla serratura.

«Così nessuno ci romperà le scatole.»

Portò prima il vassoio con la mia cena, poi quello con la sua, infine le due bottiglie.

«Buon appetito!»

«Grazie, altrettanto!»

Cominciammo dal passato di verdure.

«Lo sai che ho visto Carlo?»

«Ah, sì? E cosa ti ha detto?»

«Assolutamente niente! Non mi ha rivolto la parola e si è addirittura girato dall’altra parte. Vedessi come gli hanno combinato la faccia! Pare che il medico gli abbia suggerito di farsi operare per ridurre la frattura allo zigomo! Sul naso, poi, ha un cerotto enorme! Certo che lo hai ridotto proprio per le feste!»

«Se lo meritava! Così impara ad importunare le ragazze!»

«Lo avresti fatto anche se al posto mio ci fosse stata un’altra?»

Mi versai un po’ d’acqua nel bicchiere e bevvi lentamente.

« Rispondi!»

«Non lo so! Può anche darsi di sì!»

La guardai con la coda dell’occhio per vedere le sue reazioni.

«Cosa c’è? Non hai più fame? Ti sei fermata lì col cucchiaio a mezz’aria! Se non ti sbrighi il passato si raffredda!»

C’era rimasta male. Forse mi aveva fatto quella domanda per mettermi alla prova. Forse aveva capito tutto: «Ma va là, va! Mangia pure tranquilla che stavo scherzando! E se anche lo avessi fatto per qualche altra? Saresti stata gelosa?»

«No, no! È solo che non avresti trovato nessun’altra disposta a curarti come sto facendo io!»

Era riuscita ad aggiustarla con una battuta, ma ebbi la sensazione che anche lei non fosse la solita Elena, che forse l’episodio di quel pomeriggio avrebbe potuto aiutarmi nel conseguimento dei miei scopi. I dubbi di poche ore prima andavano dissolvendosi. La mia parte più egoista stava prendendo il sopravvento. Terminammo la cena senza altri sussulti, parlando semplicemente del più e del meno. Non tirammo più fuori i discorsi sulla morte, né nominammo più Monica. Era da tantissimo tempo che Elena non mi parlava più di lei. Non riuscii a comprendere come mai quell’argomento fosse tornato d’attualità proprio quel giorno, né per quale motivo lei avesse voluto stare così vicina a me, specie dopo il dialogo un po’ teso della sera precedente. Non mi feci rovinare la cena da quei pensieri, comunque.

«Adesso vai sul letto e ti corichi. I professori hanno detto che domani recupereremo la mezza giornata persa oggi. Sempre che il cielo sia clemente!»

«Sai cosa ti dico? Che domani mattina starò molto male, così potrò restare a riposare, evitandomi la sfacchinata!»

«E così diresti una bugia così grande?»

«Certo, soprattutto se anche tu fingessi di non stare bene: ce ne staremmo tutto il mattino qui a giocare a carte mentre gli altri macinerebbero chilometri su chilometri seguendo i tre maratoneti. Se fossimo andati in gita alle Olimpiadi coi prof. di ginnastica avremmo corso di meno!»

«Già! Comunque sia, a me non sembra una buona idea quella di fingere di stare male. Il Signore potrebbe anche punirci!»

La punizione divina. Se ciò che avviene di male in terra fosse una punizione che Dio manda a chi si comporta male, io dovrei essere la peggiore persona di questo mondo. Molto probabilmente è così. Non so chi ci sia, lassù. Non so se è il Dio che noi impariamo ad amare e temere da bambini, o se è Allah, o Geova, o una delle tante divinità della religione indù. Non so chi ci sia, ma negli ultimi tempi ho molto riflettuto. Non so chi ci sia, ma qualcuno c’è sicuramente. Tutto quello che accade qui deve avere un senso. Ci deve essere un filo logico che unisce le sventure degli uomini, che li rende tutti uguali davanti al dolore, davanti alla morte. C’è chi lotta per una vita per differenziarsi dagli altri. Belle auto, vestiti costosi, più semplicemente qualche particolare stravagante. Davanti alla morte siamo tutti uguali, tutti inermi. Ho imparato a non temere il momento del trapasso. È un semplice passaggio da uno stato ad un altro, da un momento della propria esistenza ad un altro. So che chi non c’è più mi può vedere, so che può perfino penetrare nei miei sogni, nella mia mente. I fantasmi che mi perseguitano sono nella mia testa, non hanno nulla di soprannaturale. Non sono ectoplasmi, né tracce psichiche. Sono frutto di una mente che sta vacillando sempre più ogni momento che passa, dei pensieri di una persona che si è vista portare via tutto ciò a cui teneva di più. Sono nati dal rimorso per ciò che non ho saputo fare. Quel Dio che mi vede sa già ciò che voglio fare. Spero solo che non intervenga, che non trovi qualche modo per convincermi a desistere. Sto parlando di Lui come se si trattasse di uno psichiatra, di una persona che possa essere qui al mio fianco. Sto veramente impazzendo. Le parole di Elena mi colpirono. Decisi che sarebbe stato meglio non mentire e affrontare quell’ultima giornata intera come tutti gli altri.

«Va bene! Mi hai convinto!»

Sentimmo bussare.

«Chi c’è?»

«Sono Carlo. Aprite, per favore.»

Mi venne istintivo pensare: «Oh, mamma! È venuto per finire di uccidermi!», ma c’era qualcosa di strano nel suo tono di voce. Sembrava piuttosto remissivo.

«Per favore…»

Due parole che non gli avevo mai sentito pronunciare. Andai ad aprire, mentre Elena restò in disparte.

«Che cosa vuoi?»

«Sono venuto soltanto per scusarmi con te. Ah! Vedo che c’è anche lei. Beh, allora ne approfitto per scusarmi con tutti e due! Non so cosa mi sia preso, oggi pomeriggio. Sentirmi dire di no per così tante volte dalla stessa ragazza mi ha fatto venire una rabbia in corpo che…»

«Me ne sono accorto, grazie!»

«Sappi, comunque, che tu sei stato il primo ad avere il coraggio di darmi un pugno e… di rompermi il naso e lo zigomo!»

«Mi dispiace! Veramente! È solo che…»

«Non ti preoccupare! Ho avuto modo di ripensare all’accaduto. Non ti importunerò più, Elena! Ho capito che qui c’è una persona che ti vuole bene veramente e che ti difenderà sempre, anche a costo di finire con la faccia gonfia, come oggi. Scusatemi ancora! Soprattutto tu, Elena. Spero che non mi porterete rancore.»

Mi porse la mano destra. Gliela strinsi con lo stesso piacere col quale accolsi, qualche ora prima, la notizia che lo avevo mezzo rotto.

«Vorrei che anche tu mi perdonassi. Non mi ero mai comportato così con nessuno. È un brutto periodo!»

«Non ti preoccupare. Per me la faccenda è chiusa. O almeno la sarà quando il male mi sarà passato! E se il naso mi resterà storto, sarà un monito a non fare lo stupido con le ragazze già impegnate!»

«Ma, veramente…»

«Scusate ancora. Ci vediamo domani! Sempre che i professori mi lascino uscire.»

Se ne andò in silenzio.

«Non me lo sarei mai aspettato, da lui!»

«Neppure io! Mi sembrava così pieno di boria!»

«Sai cosa dovremmo fare?»

«Forse sì!»

Non era ancora passata mezz’ora da quella inaspettata visita quando altre nocche bussarono ad un’altra porta.

«Possiamo entrare?»

«Venite pure. Stavamo preparandoci ad uscire con tutto il gruppo, visto che ha smesso di piovere. Come va la faccia?»

«Meglio, grazie. Vorremmo chiedervi una cosa.»

«Sentiamo.»

«Ecco, poco meno di mezz’ora fa abbiamo avuto modo di chiarire la situazione con Carlo. Si è mostrato sinceramente pentito per ciò che è successo. È venuto semplicemente a scusarsi per ciò che aveva fatto e penso che non si caccerà mai più in un pasticcio del genere.»

«Ecco, quello che volevamo chiedervi è questo: sarebbe possibile fare in modo che neppure a lui fosse comminata una punizione? Siamo veramente convinti che lui sia pentito!»

«Non so, ragazzi. Ciò che è successo è molto grave e è anche difficile da passare sotto silenzio. Basta guardare in faccia te e Carlo per sapere che è capitato qualcosa di grosso! Il fatto che siate proprio voi due a chiederlo è molto bello, ma… dovremo pensarci molto bene! Vero, colleghi?»

Gli altri due annuirono.

«Se proprio dovesse essere punito, allora preferirei che la stessa punizione fosse data anche a me!»

«Ed anche a me!»

«Siamo tutti e tre ugualmente colpevoli!»

«Capisco che tu sia colpevole, Dario, ma Elena?»

«Se non gli avessi sempre risposto male, forse non lo avrei esasperato fino a quel punto!»

«Beh, per il momento non ce la sentiamo di prendere una decisione. Una volta rientrati a scuola vedremo il da farsi. Adesso andatevi a preparare. Andiamo a prenderci un gelato. Tutti!»

Quel “tutti” voleva significare che anche Carlo ebbe il permesso di uscire con gli altri. Restò in disparte per tutto il tempo, forse rapito da chissà quali pensieri. Prima di rientrare in albergo telefonai ai miei genitori, ma non feci parola dell’accaduto. Ne sarebbero venuti a conoscenza non più in là di due giorni dopo. Quella sera decidemmo di non vederci. La giornata era già stata movimentata a sufficienza ed eravamo tutti e sei molto stanchi. Mi buttai subito sul letto, mentre Fabio doveva ancora chiudere la porta.

«Se non vi dispiace, stanotte dormo io nel singolo. Non so se riuscirò a chiudere occhio, con ‘sto faccione. Non vorrei svegliare il mio sfortunato compagno di letto!»

«Per me va bene!»

«Anche per me!»

«Aspettiamo un attimo prima di coricarci! Il professore deve ancora passare per il suo giro.»

Non si fece attendere molto. Ci sembrò sereno, quasi sollevato.

«Bene, ragazzi! Cercate di riposarvi e… niente match di pugilato, mi raccomando!»

Mi sorrise. Non mi sembrava neppure più l’odioso ficcanaso del primo giorno. Anche la sua battuta sulla boxe fu fatta senza malizia, quasi per concludere in maniera soft quella pesantissima giornata. Gli augurammo la buona notte. Si tirò la porta dietro e proseguì verso le ultime stanze.

«Beh, ragazzi, buona notte e… grazie di tutto!»

«Di niente, Dario! Di niente!»

«Già! Di niente. Per un amico questo e altro!»

Spegnemmo la luce. Non riuscii ad assopirmi subito, ma non fui l’unico.

«Dario…»

«Eh?»

«Dimmi una cosa.»

«Sentiamo!»

«Come mai ti sei buttato su Carlo in quel modo? Non so se io avrei avuto il coraggio di farlo per un’amica!»

«È la medesima domanda che volevo farti io, Dario. Ci ho pensato tutto il giorno, sai? Io sarei riuscito a farlo solo per Simona e per nessun’altra!»

«Cosa volete che vi dica? Mi sono sentito pieno di rabbia come mai nella mia vita e… l’ho colpito! Tutto qui!»

«Sai, quando eravamo tutti qui non te l’ho voluto chiedere, ma… sei mica innamorato di Elena?»

Il silenzio che seguì mi sembrò eterno.

«Beh, ecco, non so cosa dirti! Ci conosciamo da talmente tanti anni, io e lei. Abbiamo imparato a fare tutto, insieme, tranne camminare, parlare e andare in bicicletta. Ho con lei un rapporto che non ho con nessuno, ragazzo o ragazza che sia, come ben sapete.»

«Anche io vi conosco da un bel po’! Abbiamo fatto le medie insieme e vi ho sempre invidiati per il fatto che siete sempre riusciti a starvene in un mondo tutto vostro, ma… ultimamente mi sembra che le cose stiano cambiando. Non è vero?»

«Fabio, forse tu riesci a vedere quello che neppure io sono in grado di capire. So soltanto che sto cambiando molto e che, di conseguenza, cambia anche il mio modo di comportarmi con gli altri. Non solo, cambia anche il mio modo di vedere gli altri.»

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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