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Ecco il primo capitolo del Libro I della tetralogia Quell’Oscuro Regno del Male tra Tanaro e Bormida. Buona lettura!

LIBRO I

NUOVA VITA

“Ancora un paio di scatoloni e avrò finito!”

Stava arrancando sulle scale, Giulio. Era almeno il decimo viaggio che faceva e l’aver affittato un alloggio al quarto piano senza ascensore cominciava a sembrargli una pessima idea. Senza contare il fatto che, essendo luglio, la temperatura s’aggirava sui trentacinque gradi all’ombra.

Scaricato nel corridoio quanto aveva sulle spalle e richiusa la porta d’ingresso dietro di lui, si fece coraggio e scese per recuperare le ultime cose.

«Buon giorno!»

Volse lo sguardo al pianerottolo del primo piano, che stava raggiungendo, dove vide un’anziana signora, esile, molto ben curata, con il classico “puciu” – come lo chiamava da sempre sua nonna – sulla testa che lo guardava scendere, sorridendo.

«Buon giorno, signora! Scusi se sto facendo un po’ di rumore, ma sto traslocando le mie cose. Da oggi abito nell’alloggio che era libero al quarto piano. Mi chiamo Giulio.», le disse, porgendole la mano destra.

«Benvenuto, Giulio! Io mi chiamo Catalina.», rispose, stringendo con entrambe le mani la sua protesa e accentuando ancora, se possibile, il sorriso.

«Viene a vivere qui con i genitori?»

«No, no… mi trasferisco da solo per studio e per lavoro. Comincerò l’università a ottobre e, nel frattempo, ho creato una startup con due miei compagni di scuola. Creiamo app per telefonini, tablet e computer

«Sa cù l’è?», domandò incuriosita la donna.

«Sono applicazioni che si installano sui cellulari. Possono essere giochi, programmi utili come quello che serve a monitorare le code sulle autostrade, oppure altre ancora. L’unico limite è la fantasia!»

«Ah, capisco. Io non ho nemmeno il cellulare: sono troppo vecchia per queste cose! Ma adesso la lascio andare! Le ho già rubato troppo tempo!»

«Assolutamente no, non si preoccupi! E mi dia pure del “tu”, mi raccomando! Se dovesse aver bisogno di qualcosa, mi chiami pure! Le lascio il mio numero.», disse estraendo dal portafogli un biglietto da visita.

«Apps Magicians? Sa cù vó dì

«Magician vuol dire mago: siamo i maghi delle app

Si salutarono con un cenno del capo, così che Giulio potesse scendere nell’androne a recuperare gli ultimi due scatoloni.

“Meglio che faccia un viaggio solo!”, pensò tra sé e sé, anche se l’impresa appariva abbastanza ardua.

Riuscì a non morire durante l’ascesa a quello che avrebbe da lì in poi identificato come “il suo alloggio”, sebbene dopo aver appoggiato i due colli, di fatto, non sentisse più le braccia.

“Cinque minuti di riposo e poi metto a posto tutto.”, si disse – quasi ordinandoselo, mentre si lasciava cadere sul divano. Uno di quelli belli, angolari, di un arancione intenso, che occupava buona parte del pavimento della sala. C’erano poi un tavolo con sei sedie, un mobile moderno con appoggiata una televisione a led da trentadue pollici e una credenza.

Fissò per qualche istante il soffitto. Niente lampadario, ma una plafoniera tonda che tanto gli ricordava quelle degli uffici. Qua e là, piccole crepe nel colore.

Ripreso che ebbe il fiato, si alzò allungando per bene la schiena e concluse il suo giro di perlustrazione. Aveva visto l’appartamento una volta sola, con l’incaricata dell’agenzia, ma non era sceso più di tanto nei dettagli. Un corridoio, una sala, una cucina, una camera da letto, uno studio e un bagno, in fondo al quale faceva bella mostra di sé una Jacuzzi. “Che poi, a me cosa importa di avere l’idromassaggio?”, si domandò mentre la fissava.

Cominciò a radunare gli scatoloni per stanza: libri ed elettronica nello studio, valigie nella camera da letto, pacco con i viveri – santa mamma! – sul tavolo in cucina, insieme alle due borse di spesa che aveva acquistato nel vicino supermercato.

Grigio-nero-nero… grigio-nero-nero-oh…

«Pronto? Ciao Leo! Sì, ho appena finito di portare su la roba. Metto un po’ a posto e poi mi sistemo la postazione per lavorare. Tutto bene?»

Leonardo. Uno dei suoi due soci. E quella suoneria: l’inno della sua squadra del cuore. Da quando, piccolo, accompagnò suo padre allo stadio Moccagatta a vedere quelli che, semplicemente, lui – come tutti gli altri tifosi facevano – chiamava “i Grigi”.

«Va bene, allora. Comincio a lavorare al database e alle librerie lato server. L’UML me lo mandi via mail o lo metti su Drive? Ok, dai. Ci sentiamo dopo cena! Ciao!»

Il progetto per quell’applicazione, un software che avrebbe rivoluzionato il modo di gestire il denaro, era nato nei giorni che separarono gli scritti dell’esame di Stato dall’inizio degli orali. Leonardo, Abdel e lui avevano già avviato la loro attività, con un paio di prodotti di successo che stavano garantendo un buon afflusso di denaro, con il quale potevano permettersi di progettare in grande, come anche il loro professore di informatica consigliava di fare. Tre ragazzi come tanti, provenienti da background sociali profondamente diversi, ma accomunati dalla passione per tutto ciò che è ragionamento e razionalità. Certo, talvolta conditi da uno spruzzo di fantasia indispensabile alla concezione di nuove idee, ma con i piedi ben piantati a terra e con un credo comune: “Ciò che è scienza è reale. Il resto è fuffa!”

Si preparò un’insalata con melone, pomodoro, tonno e mozzarella, che divorò in pochi minuti, per poi passare all’allestimento di quello che sarebbe stato il suo studio, il luogo dove avrebbe trascorso il novanta per cento del suo tempo casalingo.

Nella stanza – che dalle dimensioni pareva una matrimoniale – faceva bella mostra di sé una scrivania molto grande, datata e intarsiata, con due cassettiere laterali e una superficie di appoggio di almeno due metri quadri. Lungo uno delle due pareti non intervallate da porte e finestre era presente una enorme libreria il cui culmine toccava praticamente il soffitto.

“Un po’ eccessiva, per le mie esigenze!”, pensò, guardando quell’enorme scaffalatura – a differenza della scrivania, dozzinale e quasi sicuramente montata lì dal padrone di casa o dall’inquilino precedente – mentre vi poggiava i libri.

Cominciò, poi, a disporre i suoi strumenti di lavoro sullo scrittoio: «Questa, invece, è a malapena sufficiente per i tre computer e i tre schermi…», disse ad alta voce, mentre posizionava il più grande dei monitor, un ventisette pollici.

Si guardò intorno per cercare la presa di corrente più vicina: «Perfetto!» esclamò «È dall’altra parte della stanza! E non ho nemmeno una prolunga. Ma porc… mi tocca anche uscire e andare a comprarla, altrimenti oggi non posso lavorare.»

Guardò l’orologio: erano le diciannove e quindici. Doveva sbrigarsi. Recuperò le chiavi della macchina, quelle dell’alloggio e il marsupio, per il portafogli e il cellulare. Indossò l’auricolare senza fili, calzò le scarpe e uscì, chiudendo con due giri di chiave la porta. Scese velocemente le scale senza incontrare nessuno. Si fermò improvvisamente all’ammezzato tra piano terra e primo piano, volgendo lo sguardo verso la porta dell’alloggio di Catalina e risalendo la scala fino a trovarvisi davanti: “Strano! Mi era sembrata aperta. Magari era solo un riflesso della luce.”

Raggiunse l’androne e uscì sulla pubblica via. Proprio mentre il portone del condominio chiudeva la sua corsa, un occhio chiaro ai limiti della trasparenza osservava la scala dallo spiraglio di una porta aperta.

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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