Abbiamo ormai superato il mese di questa emergenza, con la data per la “ripresa” che è scivolata via via più avanti e chissà quante altre volte scivolerà. Detto sinceramente, il fatto di poter continuare a lavorare, a confrontarmi con le mie Collaboratrici e con i miei Collaboratori tutti i giorni via Skype, sotto certi aspetti, ha reso le giornate addirittura più produttive rispetto a prima, quando ogni riunione veniva interrotta – per carità, in maniera legittima – da questa o quella persona. Riunioni nelle quali emergono le grandezze e le piccolezze del nostro mondo, quello della Scuola (sì, per me va scritto con la maiuscola, perché merita rispetto), che altro non è che l’incubatrice della società. Pù in piccolo, insomma, un bel campione statistico di ciò che siamo. Non mi soffermo a giudicare o a valutare quelle che per me sono stranezze – e che per altri sono la normalità – quando queste non influiscano negativamente sulla vita di chi è intorno: ciascuno ha diritto, per sé, di comportarsi come meglio crede. Una cosa, però, mi fa paura. Come uomo e come formatore. La capacità da parte di alcuni, in ogni circostanza, di trovare comunque un capro espiatorio che distolga l’attenzione dalle proprie responsabilità e dai propri errori. Potrei portare mille esempi, sia dal mondo che mi è più vicino, con registri elettronici, lezioni via Skype, verifiche a mo’ di test e chi più ne ha, ne metta, sia dall’universo che sta fuori dall’edificio scolastico, quello con quale Ragazze e Ragazzi devono e dovranno quotidianamente fare i conti. Non è un bel vedere, indubbiamente. Aiutati dai social network, gli hater professionisti fanno proselitismo, fanno crescere in chi sia particolarmente sensibile, in quel momento, sentimenti negativi che possono trovare sfogo solo nel puntare il dito verso qualcun altro. Non importa chi. L’importante è che sia un altro. Una situazione nella quale ciascuno si sente autorizzato a non fare il proprio, perché altri non lo fanno e non vengono puniti.
Non ci sto. Non posso pensare che l’Italia (ma non solo) di domani debba essere questa. Io considero il lavoro svolto, a livello sociale, da quelli della mia generazione semplicemente fallimentare. Non siamo riusciti a ricreare quei valori, primo fra tutti la dignità, con i quali i nostri bisnonni, i nostri nonni e i nostri genitori facevano colazione, pranzo e cena. La tecnologia, che tanto ho amato e tutt’ora amo come mezzo di sviluppo, ci ha allontanati più di quanto ci abbia avvicinati. L’affermazione del diritto come primario rispetto al dovere, poi, ha fatto il resto.
Ebbene, io ho un sogno. Anche se non sono Martin Luther King…
Il mio sogno è che la scuola sappia infondere alle Ragazze e ai Ragazzi la consapevolezza che la serietà, l’abnegazione e la correttezza sono l’ABC per potersi guardare allo specchio al mattino. Il mio sogno è che noi, adulti di riferimento (e parlo di chi lavora nel mondo della scuola, ma anche dei Genitori), siamo in grado di trasmettere valori, non solo conoscenze, in primis con l’esempio e con l’amore proprio di chi è Insegnate, Padre o Madre. Il mio sogno è che Ragazze e Ragazzi siano in grado di discernere non tanto tra il “bene” e il “male”, concetti sfumati e assolutamente soggettivi, bensì tra ciò che è corretto e ciò che non lo è in ambito relazionale. Con un semplice concetto di base: la mia libertà termina dove inizia la tua.