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Ancora qualche riga da “Storia di V.”

L’inizio (continua)

Il sole, caldo, invitava i bambini a giocare sullo scivolo e sulle altalene. Il signore del giorno precedente, impassibile, era seduto esattamente sulla stessa panchina. Mi accomodai di fianco a lui, in maniera che sembrasse del tutto casuale. Lo spiai con la coda dell’occhio, dietro gli occhiali scuri, per verificare le sue reazioni. Vidi che, come il giorno precedente, guardava con attenzione le bimbe sull’altalena. Volli gettare la mia esca. A ogni movimento in avanti dell’altalena, a ogni svolazzo di gonnellino, feci tremare le labbra, quasi come si trattasse di un movimento inconsulto dettato dalla libido.
Vidi, meglio, percepii, che il mio vicino era rimasto colpito dai fremiti della mia bocca. Passai, allora, alla seconda esca. Estrassi dalla tasca il portafogli e presi, da una taschina laterale, una foto di mia figlia. La portavo con me da quando era nata. Era la classica foto del bagnetto domenicale. Mi fermai a guardarla, aumentando il fremito delle labbra. Lo vidi chiaramente girarsi verso di me, fissando lo sguardo sulla foto. Misi la mano sinistra in tasca, fingendo di approssimarla al pene. Sapevo che stava continuando a guardarmi.
Dopo qualche minuto, che mi servì a confermare il suo interesse, mi girai verso di lui. «Non riesco a farne a meno» – dissi. Mi sorrise. Aveva abboccato. E ingoiato tutto l’amo. «Che bella foto!» – disse a bassa voce. «Sì… la figlia dei miei vicini di casa… adesso ha sei anni… ma io adoro questa sua foto… e adoro lei…» – mi facevo schifo da solo, nel dire quelle parole. Vidi che i suoi occhi si sgranarono, ma non per lo schifo. Lo vidi sempre più interessato. «Piacciono anche a lei, vero?» – azzardai. L’uomo annuì. Ero quasi arrivato dove volevo. Restava da convincerlo a seguirmi. Ma non pensavo si trattasse di un’impresa impossibile.
«Sono venuto per caricarmi un po’…» – dissi – «Perché tra poco vado a prenderla al centro estivo e ho tutto il pomeriggio da passare con lei… da solo…»
Lo vidi eccitato. Non ci girai intorno. «Vuole farmi compagnia? Questa bimba è divina e servizievole…»
Non gli sembrò vero. Annuì, senza parlare, salvo poi chiedermi se ne fossi sicuro. Lo rassicurai, dicendo che sapevo riconoscere un fratello di vizio, guadagnandomi la sua fiducia. Certo, erano altri tempi. Quel tipo di approccio, oggi, non funziona più. Oggi vanno i siti internet, le chat Wathsapp, i vecchi server IRC criptati. Ma anche i messaggi in codice su innocenti quotidiani e riviste. Mai e poi mai un pedofilo cascherebbe in una trappola ingenua come quella. Lui sì. Vi cadde. Per mia fortuna.
Ci alzammo e mi seguì, docile docile, salendo dal lato del passeggero sulla giardinetta, che avevo parcheggiato in un luogo abbastanza appartato. Salii dal lato del conducente, mi chinai e feci finta di cercare qualcosa sotto il sedile. Mi sollevai quasi di scatto e gli misi su naso e bocca uno straccio imbevuto di cloroformio. Ebbe una piccola reazione, ma perse quasi subito i sensi.
Non ero minimamente agitato, né preoccupato. Anzi, mi sentivo perfettamente a mio agio, con quell’uomo senza sensi accasciato sul sedile di fianco al mio. Quasi come con quel cadavere in cucina. Avviai l’auto e mi diressi, con calma, verso il bosco.
Arrivai al casotto e scaricai il mio ospite. Sfruttai tre cavalletti e una grande tavola di legno, che avevo disposto la sera precedente e sui quali avevo steso uno dei teloni di nylon. Vi accomodai l’uomo, cinsi il suo polso sinistro con una corda a un estremo della quale avevo realizzato un nodo scorsoio. Feci in modo che il braccio sinistro si piegasse sotto la tavola, poi feci fare due giri alla corda intorno al busto e alla tavola. Feci poi piegare sotto la tavola anche il braccio destro, che cinsi con tre giri stretti di corda, che feci poi girare per altre due volte intorno al costato e alla tavola. Mi sembrava sufficientemente assicurato.
Presi un altro pezzo di corda e gli legai i piedi, allargandoglieli in maniera da lasciare le gambe divaricate. Non aveva nessuna possibilità di movimento. Presi un pezzo di stoffa e glielo legai sulla bocca, così che non potesse urlare.
Gli aprii i pantaloni e glieli abbassai. Feci lo stesso con gli slip. Tolsi dalla tasca i sali che avevo preso in farmacia e lo feci rinvenire. Ricordo ancora con quali occhi mi guardò e il terrore che lo colse. Mi rivolsi a lui con voce bassa e pacata, mentre dalla mia sacca estraevo un coltello da cucina, di quelli da trenta centimetri.
«So che ti starai domandando dove sei capitato e cosa voglia farti… Se farai il bravo, ti darò tutte le risposte e ti libererò… hai capito?»
Annuì. Avevo fatto in modo che la testa fosse l’unica parte del corpo che potesse muovere.

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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