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Ancora qualche riga da “Storia di V.”

L’inizio (continua)

«Adesso ti abbasserò il bavaglio, ma se tu dovessi urlare o parlare se non interrogato, non solo te lo rimetterò, ma comincerò a spellarti come se fossi un coniglio. Ti è chiaro?»
Annuì nuovamente, sgranando gli occhi. Presi il bavaglio con le due mani, continuando a impugnare il coltello, e glielo scostai leggermente dalla bocca. Non fiatò.
«Adesso ti farò delle domande e, sulla base delle risposte che mi darai, deciderò cosa fare di te. Ti è chiaro?», dissi. «Sì.», rispose, quasi con un sibilo, la bocca ancora impastata dal cloroformio.
«Allora… tu sei un pedofilo, vero?». Rimase fermo e zitto per più di dieci secondi. Non mi scomposi. Poggiai la punta del coltello sul suo inguine, poco sotto l’ombelico, e cominciai a spingere verso il basso.
«Nononononono… ahiaaaaaaa…»
«Sai che ti ho detto di non urlare…» – dissi, mentre gli rimettevo il bavaglio, che era perfettamente inutile, visto il luogo nel quale ci trovavamo – «Adesso ti rifaccio la domanda… tu sei un pedofilo, vero?»
Annuì col capo, gli occhi sgranati in un’espressione di terrore vero.
«Ecco… così mi piaci… collaborativo… bravo… sei sulla strada giusta…»
Sentivo il suo respiro affannoso. Vedevo le sue costole alzarsi e abbassarsi con un ritmo molto rapido. Lo sentivo mugolare, mentre dalla piccola ferita che gli avevo procurato stava uscendo un sangue scuro, anche brutto a vedersi. Per qualcuno che non fossi io.
«Allora… quanti bambini ti sei fatto? Dieci? Di più?»
Stava sudando. Fece cenno di sì. «Venti? Di più?»
Questa volta fece cenno di no. «Quindi, tra dieci e venti… hai cominciato da vecchio?»
Ancora una volta, la risposta fu un gesto ad annuire.
«Bravo, così mi piaci… adesso provo a toglierti il bavaglio. Sai cosa succede se fai lo stupido, vero?»
Mosse il mento verso lo sterno. Gli abbassai il bavaglio.
«Tu chi sei?», mi domandò, visibilmente agitato.
«Non ci siamo capiti. Se non vuoi che ti faccia un altro segnetto là sotto, ti conviene non fare domande e rispondere alle mie…», dissi, avvicinando il coltello al suo inguine.
«Ok, ok, ok… sto zitto, sto zitto…»
«Bene… torniamo a noi… allora, sei un pedofilo, lo sei diventato da vecchio e ti sei fatto da dieci a venti bambini, dico bene?»
«S-sì… dici bene… d-diciotto… ne ho avuti diciotto…»
«Diciotto… e quanto li hai fatti soffrire? Quanto hanno pianto… e come li hai minacciati, per far sì che non parlassero, eh? Come ti sei approfittato di loro? Come hai carpito la loro fiducia per far loro del male, eh?» – mi feci incalzante e con un tono di voce sempre basso, ma evidentemente alterato dalla rabbia – «Forza… dimmelo… confessa le tue porcate…»
«No-non ho mai fatto loro del male… io amo i bambini… li adoro… sono ingenui, puri, santi… s-sono a-a-angeli…»
Stava cominciando a piangere. Il suo terrore era evidente.
«Angeli che hai fatto precipitare all’inferno, vero? Veroooo?» – alzai per la prima volta il tono di voce.
«N-n-no… non è vero… l-li ho sempre trattati b-bene… caramelle, s-soldi, b-b-baci e c-carezze…»
Balbettava sempre più. Il mio sangue, intanto, ribolliva. Faticavo a mantenere il controllo.
«E come li hai zittiti, eh? Brutto porco… come li hai convinti a non raccontare niente a casa? Li hai minacciati? Eh? Cosa hai fatto a quelle piccole creature?»
«N-no… n-non li ho m-mai m-minacciati… ho s-sempre fatto loro dei r-regali… e b-basta… io l-li amo, te l-l-l’ho d-detto…»
Piangeva ormai a dirotto e singhiozzava come un bambino. E se l’era anche fatta addosso. Riposizionai il bavaglio e cominciai a percorrere il suo ventre con la punta del coltello, piantata per un paio di centimetri, ad aprire dei solchi nelle sue viscere. Passai poi al viso, che muoveva a destra e sinistra per far sì che non riuscissi a colpirlo, ma facendo in modo che gli facessi ancora più danni.

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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