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«Grazie! Grazie, grazie, grazie! Non sai quanto io sia felice in questo momento!»
Mi baciò, dapprima sulle guance, poi, con passione, sulle labbra. La abbracciai anche io, ma senza il suo stesso trasporto. È cominciato così l’ultimo capitolo della mia vita. Mi sento terribilmente a disagio quando ricordo, o, meglio, rivivo, quegli episodi. Confronto sempre la sua sincerità, la pulizia dei suoi sentimenti con la mia malafede, la mia sporcizia, il mio schifoso opportunismo. Mi sono odiato moltissimo e mi odio sempre di più ogni momento che passa. Il tempo. È terribile sentirsi passare il tempo addosso. È terribile soprattutto vedere che, qualunque cosa succeda, il mondo intorno la assorbe subito, la metabolizza e la dimentica in breve. Solo chi vive in prima persona episodi, positivi o negativi che siano, li porta dietro e fa in modo che non vengano scordati. Soprattutto perché proprio chi li vive non è in grado di dimenticare. Ci alzammo dalla panchina. Mi prese la mano destra con la sua mano destra, poi fece passare il suo braccio sinistro dietro la mia schiena, poggiando la mano sulla mia anca. Era decisamente più sollevata, per usare un eufemismo. Aveva gli occhi lucidi. Non so se per il ricordo dei suoi genitori o piuttosto perché si sentisse più leggera. Sembrava che la mia vicinanza, il mio affetto, il mio amore, forse, rivestissero una grande importanza per lei. O, meglio, l’amore che lei sperava io potessi darle.
«Ci vediamo oggi pomeriggio, allora?»
Sorrideva, mentre mi dava appuntamento per uscire. Nelle settimane seguenti si divise equamente tra l’università e me. Non passava giorno nel quale non venisse a prendermi a scuola, raccontandomi, nel breve tragitto che compivamo per tornare a casa, tutto quello che le era capitato, congetturando, quando la settimana volgeva al termine, come avremmo potuto passare il sabato e la domenica. Tutto quell’entusiasmo, sinceramente, non lo comprendevo e, conseguentemente, non riuscivo a condividerlo.
«Sai cosa mi è successo stamattina?»
«No.»
«Beh, non ce la facevo più a tenermi dentro questa cosa e l’ho raccontata a Viviana e Sabrina! Il fatto che stiamo insieme, intendo!»
«Ti avevo detto di non dirlo a nessuno, mi pare!», dissi stizzito.
«Lo so, Dario, lo so e ti chiedo scusa per non averti obbedito! Il fatto è che sono troppo felice e si vede! Viviana mi ha chiesto come mai e a me è scappato! Scusa! Sei molto arrabbiato?»
Restai in silenzio per qualche secondo, guardando fuori dal finestrino.
«Vabbè, lasciamo perdere, va. Non ho voglia di discutere. Spero solo che quelle due non facciano troppa pubblicità alla cosa!»
«Scusa, ma c’è una cosa che non mi è chiara. Mi spieghi come mai non vuoi che si sappia in giro che, insomma, che usciamo insieme, ecco? Non sei convinto di quello che stai facendo?»
«Non ho voglia di parlarne, ok? Vorrei solo che tu mi dessi retta.»
Vidi un’espressione perplessa sul suo viso, poi riprese la sua abituale vitalità.
«Va bene! Scusami ancora! Cercherò di non divulgare troppo il segreto.», disse con aria canzonatoria.
«Mmh. Spiritosa.»
Era una richiesta stupida, quella di non rendere pubblica quella “notizia”, ma non mi andava di fare la figura della banderuola segnavento con chi mi conosceva. Ero il ‘Dario addolorato’, l’innamorato che aveva perso la sua bella e che viveva con il cuore indurito dal dolore. Quella storia, importante o meno che fosse, avrebbe restituito alla mia vita un’aura di normalità. Una normalità che, di fatto, non esisteva e non aveva ragione di esistere. Mara riuscì ad adeguarsi anche a questo. Riuscì a vivere l’anormalità alla quale la costringevo in modo assolutamente naturale. Solo ora comprendo quanto fosse l’amore che nutriva nei miei confronti. Solo ora.
«Che ne diresti di una cena al ristorante, domani sera?»
Come ogni venerdì, il rito della pianificazione del week-end.
«Basta anche solo la pizzeria.»
«No! Domani sera non basterà la pizzeria!»
«E perché no? È un sabato come tutti gli altri.»
«Proprio per niente, caro mio! Sapevo che dimentichi facilmente le cose, ma non pensavo fino a questo punto!»
Finse di offendersi.
«Davvero non sai cosa sia domani? Davvero non ti ricordi?»
«Ipotizzo: il tuo compleanno?»
«E con questa, le speranze che io possa perdonarti si stanno riducendo e sono prossime allo zero! Quello è tra dieci giorni!»
«Ah! Allora non so proprio cosa possa essere.»
Non mi preoccupai più di tanto, come sempre.
«Domani, caro il mio smemorato, saranno quattro settimane che stiamo insieme!»
«Ah! E io chissà che mi credevo!»
«Brutto… ah! Ma questa te la faccio pagare, sai? Per intanto, beccati questo!»
Subii il pizzicotto più doloroso della mia vita.
«Ma sei impazzita? Mi hai fatto malissimo!»
Assunsi un’aria più seria del solito.
«Ti ho fatto male? Scusami! Non volevo! Stavo solo scherzando!»
Mi baciò sulla guancia.
«Stai attenta a dove vai! Prima, a momenti, finivamo in un fosso!»
«Allora? Va bene per il ristorante?»
Annuii. Sebbene l’appuntamento fosse per le sette, Mara arrivò a casa mia quasi un’ora prima.
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