Ecco qualche altra pagina del romanzo “Il fiume”, che è acquistabile qui. Buona lettura!
«Permesso?»
«Vieni, Vieni pure!»
«Buona sera!»
«Quel pelandrone di mio figlio non è ancora pronto. Accomodati pure qui!»
«Non è colpa di Dario, signora! Sono io ad essere in forte anticipo!»
Parlarono per una buona mezz’ora, il tempo che mi ci volle per terminare di studiare il capitolo di storia sul quale ero concentrato e per prepararmi.
«Sai che Mara mi piace molto? È proprio una brava ragazza!»
«Mhh?»
Raramente mia madre si lasciava andare a giudizi sulle mie conoscenze. Ai miei genitori non avevo detto assolutamente nulla del fatto che ci eravamo messi insieme, ma lei se ne accorse dopo nemmeno una settimana.
«Cerca di non farla soffrire! Ha già avuto punizioni troppo grosse dalla vita. E poi, mi parla di te come della persona più cara che abbia!»
Non le diedi ascolto. Decisamente no. Non riesco a capacitarmi della cattiveria e dell’opportunismo con i quali ho sempre trattato quella povera ragazza. Riusciva ad essere quasi sempre allegra, a vivere ogni momento di quella storia che per lei significava così tanto in maniera serena. Nonostante me. Fui io il maggiore ostacolo al coronamento del sogno che solo una volta mi manifestò. Fui io a lasciare fuggire la mia ultima possibilità di vita, di speranza. Fui io, come solo da poco mi sono reso conto, a condannarmi con le mie stesse mani.
«Sai, sabato e domenica i miei nonni se ne andranno al mare per mettere un po’ d’ordine nell’appartamento. Quest’anno vorrebbero stare giù un paio di settimane in più rispetto all’estate passata.»
«E allora? Cosa c’entro, io?»
«Volevo chiederti se hai voglia di accompagnarmi fino dai miei, domenica mattina. Parlo con loro tutte le sere, prima di addormentarmi, ma… avrei voglia di andare a trovarli. Ti va?»
«Per me… sei sicura di volermi intorno?” “Certo! Anzi, se tu non venissi con me, non andrei neppure io!»
Sorrise. Partimmo piuttosto presto. Nel portabagagli, due stupendi vasi di fiori.
«Non so quanto dureranno, anche se i miei zii vanno spesso e potranno prendersene cura loro, ma i fiori hanno il potere di rendere i cimiteri meno tristi, di infondere un po’ di coraggio a chi resta.»
«La tristezza è la padrona dei cimiteri. Non ci sono fiori che tengano. Chi va in visita ad un defunto, va per sentire, con rinnovato vigore, il dolore del distacco.»
«Non dire così! Sì, effettivamente, quando vado a trovare i miei sento un grande vuoto nel cuore, soprattutto quando penso a quante cose avremmo ancora potuto fare insieme. Subito dopo, però, la sensazione di solitudine scompare e li sento lì, vicini a me, pronti a proteggermi in qualunque cosa io faccia. Non potrà mai succedermi nulla di male fino a che loro saranno con me! So che ciò che sto dicendo potrebbe essere male interpretato, ma… voglio loro quasi più bene ora rispetto a quando potevo vederli, e non in foto, tutti i giorni. Quando faccio loro qualche domanda, mi rispondono e mi consigliano sempre per il meglio. Non mi lasciano mai sola!»
Quelle sue riflessioni ebbero un potere negativo su di me. Com’era possibile vivere la morte, il distacco fisico, il dolore in maniera così serena? Come si poteva rinunciare così a cuor leggero alle persone più importanti della propria vita? Da quando Elena era morta, mai l’avevo sentita vicina a me come Mara diceva di sentire i suoi genitori. A volte la rivedevo in qualche espressione tipica, oppure risentivo la sua voce, ma solo nei ricordi, solo rituffandomi nel passato. Mara stava cercando di dirmi che era possibile farlo anche nel presente, stava cercando di insegnarmi qualcosa di nuovo. Non la convivenza con il dolore, mentale prima che fisico, ma la possibilità di rendere tale dolore “buono”, di trasformarlo in qualcosa di positivo, di trascinante. Di rivitalizzante. Varie volte affrontò con me il tema della morte e dei modi per renderla “utile”, per trarre spunto da essa al fine di migliorarsi. Altrettante volte, però, i suoi discorsi caddero nel vuoto. Ancora oggi, per me, essa rimane a separare ciò che è da ciò che non è, chi ha smesso di soffrire da chi continua. Ancora oggi, per me, essa resta l’unica soluzione per chi non abbia più nulla da chiedere, per chi abbia raggiunto il capolinea. Per chi, più semplicemente, non abbia più voglia di combattere la vita. È una lotta impari. Da un lato, tutti gli eventi che segnano i passi delle tue giornate. Dall’altro, solo, indifeso, stanco, tu. La nascita porta sofferenza. Alla madre, il cui dolore non consce eguali. Al nascituro, che passa dallo stato incosciente al mondo. A tutti coloro che a quella nuova vita si affezioneranno, che la seguiranno durante gli anni della crescita, fino a condurla alla maturità. A tutti quelli che con essa interagiranno, si porranno obiettivi, soffriranno per poterli raggiungere, spesso e volentieri falliranno. Soprattutto, però, quella nuova vita avrà un potere enorme e mostruoso. Quello di generare nuovo dolore, creando vita a sua volta. A volte penso che la sterilità, alla quale nessun adulto sa rassegnarsi, sia un grande dono. La procreazione, in fondo, non è altro che un atto di egoismo, di egocentrismo portato all’eccesso. È la ricerca della vita eterna, della continuità della propria genia, come dimostra il fatto che ogni bambino debba assomigliare necessariamente a qualcuno. A volte invidio profondamente Monica. La sua non nascita fu causa di profonda frustrazione nei suoi genitori, ma se avesse vissuto anche solo un giorno, anche solo un’ora, chiunque avesse condiviso con lei quel periodo avrebbe avuto qualche ricordo del suo passaggio, soffrendo infinitamente di più.
«Dario? Posso farti una domanda un po’, un po’ intima, ecco? Puoi anche non rispondermi, se non vuoi!»
«Non voglio.»
«Ma lo sai che sei un bel tipo? Non l’ho ancora fatta!»
«Già solo il preambolo che hai fatto mi spinge a non risponderti, qualunque cosa tu mi chieda.»
«Vabbè, io ci provo ugualmente, poi deciderai tu, ok?»
Prese fiato, poi: «Ecco, quello che volevo sapere è… come mai tu viva ogni attimo della tua giornata in modo così negativo. Mi spiego meglio: sei molto intelligente, i tuoi voti lo dimostrano, sei un bel ragazzo, e non lo dico solo perché usciamo insieme, sia ben chiaro! Secondo me hai un futuro molto brillante, davanti, ma… sembra quasi che le giornate che passano siano un peso, per te. Non tutte, comunque, la maggior parte. Mi sbaglio?»
Non si sbagliava. E lo sapeva benissimo.
© Roberto Grenna – Riproduzione vietata