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Ancora qualche riga da “Storia di V.”

L’inizio (continua)

«E tu? Cos’hai fatto, oggi, papà?»
La domanda non mi colse impreparato. «Ho fatto del bene al mondo!» – dissi sorridendo. «Ma daaaaiiiii! Cosa hai fatto?» – incalzò il grande. «Nulla di particolare, risolto qualche granetta e fatto un salto al casotto, per vedere ancora due o tre cose.» – dissi sorridendo.
«Aaah… che giornata noiosa! La prossima volta, vieni in piscina con noi!»
La voce dell’innocenza…
Le settimane successive trascorsero con le richieste di aiuto da parte dei familiari della mia vittima, diramate attraverso quotidiani, radio, televisioni. Finsi di prestare poca attenzione alla cosa, ma in realtà me ne interessai anche dalla Cina, dove trascorsi due settimane per lavoro.
Ripensai spesso a possibili testimoni che ci avessero visti mentre ci allontanavamo insieme, ma non ne ricordavo, eccezion fatta per le due bambine che erano sull’altalena. Di sicuro, comunque, non ero propriamente riconoscibile, dato che vestivo un cappello estivo a tesa larga, occhiali scuri e vestiti estremamente ordinari. Che, per altro, non esistevano nemmeno più.
Trascorsi quindici giorni totalmente assorto dal mio lavoro, facendo base in una casa di proprietà della società, che si trovava in una zona di campagna, tranquilla, con pochissimo passaggio di persone.
Mi trovai a pensare che quello sarebbe stato un luogo perfetto per il mio passatempo, anche considerando l’enorme scantinato cui si poteva accedere dall’esterno, che risultava praticamente inaccessibile, quando veniva chiuso dall’interno con tre chiavistelli del diametro di un dito pollice. Già… Proprio perfetto… Peccato non poterlo portare con me…
Rientrai circa un mese dopo l’episodio del casotto, accolto all’aeroporto da moglie e figli, cui avevo portato qualche regalino dal paese dal quale provenivo. Un abbraccio cumulativo era proprio ciò di cui avevo bisogno.
Ebbi modo di consultare i giornali del periodo nel quale non ero a casa, dato che mia moglie aveva l’abitudine di conservarmeli, proprio per consentirmi di informarmi su quel che succedeva in mia assenza. Verificai con attenzione che l’interesse intorno al caso stava scemando e come le Forze dell’Ordine si stessero convincendo, almeno così scrivevano gli organi di informazione, che si trattasse di un allontanamento volontario o di una disgrazia, in quanto l’uomo era in lite con la figlia per motivi di eredità e soffriva di vuoti di memoria, perdendosi ogni tanto. Pensai che, nella mia scelta assolutamente non premeditata, mi ero dedicato a qualcuno che poteva avere anche un motivo proprio per non essere più a casa. Come dico spesso, nella vita, “Che culo!”
Non potevo, però, basare il mio modo di operare sulla fortuna o sul caso. Era assolutamente necessario che razionalizzassi il mio metodo di agire, con un attento studio della vittima e delle sue abitudini, del suo contesto familiare, delle eventuali motivazioni che potessero portarla distante dalla propria realtà di tutti i giorni.
In più, dovevo pianificare ogni minimo dettaglio del rapimento e dell’uccisione, perché quella volta, me ne convincevo sempre più ogni giorno che passava, avevo veramente rischiato troppo…

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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