Ecco il quarto capitolo del Libro I della tetralogia Quell’Oscuro Regno del Male tra Tanaro e Bormida. Buona lettura!
LIBRO I
EMMA
«Venceslao? Ma puoi chiamare questa bestiola Venceslao?»
Leo gli parlava, lasciando però lo sguardo fisso sul nuovo arrivato.
«E perché no, scusa? Come dovrei chiamarlo? Fuffi? Birillo? Venceslao è un nome importante. È il patrono della Repubblica Ceca e questo nome mi è rimasto in testa da quando siamo andati in gita a Praga, la scorsa primavera. Mi ero ripromesso che se avessi avuto un animale domestico, l’avrei chiamato così!»
«Ma se non ne conosci nemmeno l’origine!»
«Molto glorioso.»
«Cosa?»
«Venceslao… significa molto glorioso. È di origine slava. Pare derivi da vece, che vuol dire maggiore, e da slavu, che vuol dire gloria.»
L’amico e socio sollevò la testa e lo guardò interdetto, col sopracciglio destro alzato e il sinistro schiacciato, come avrebbe fatto con un alieno. Scosse la testa, per poi tornare a concentrarsi sul cucciolo.
«Ma sei qui per lavorare o per guardare il gatto?»
«Arrivo, arrivo! Intanto manca ancora Abdel.»
Proprio mentre concludeva la frase, suonò il citofono.
In meno di cinque minuti, i tre ragazzi si concentrarono sugli aspetti tecnici dei quali dovevano discutere prima di sviluppare separatamente la propria parte di progetto. Il grande tavolo della sala, tre notebook, una stampante laser di ultima generazione e quintali di fogli di carta, in parte stampati e in parte appuntati a mano.
«Allora… se il tempo di latenza dovesse essere superiore ai cinque secondi, rischiamo che l’operazione non vada a buon fine. Il token ha una durata che varia tra due e sei secondi. Non va.»
«Sì, hai ragione, ma come possiamo rimediare?»
Seguì un lungo silenzio, interrotto dal suono del campanello.
«Aspetti qualcuno?», domandò Abdel.
Giulio scosse la testa, alzandosi per andare ad aprire la porta.
«Chi è?»
«Sono Emma, la nipote di Catalina. Mia nonna mi ha chiesto di portarti su una cosa.», fu la risposta proveniente dall’altra parte della porta.
Aperto l’uscio, la visione che si presentò agli occhi del ragazzo non lo lasciò indifferente: poco più bassa di lui, mora, gli occhi chiari come l’acqua del mare di una spiaggia tropicale, un fisico da pin-up.
Dopo un breve, ma imbarazzante silenzio, si presentò: «Piacere, Emma, sono Giulio! Vuoi accomodarti?»
La ragazza, uno smagliante sorriso a illuminarle il viso, annuì, accettando di entrare e tenendo tra le mani un pacchettino.
Guardando in sala e vedendo i due amici sembrò titubare per un momento: «Scusate se ho disturbato!»
Leo e Abdel sorrisero, anche loro colpiti dall’aspetto della ragazza.
«Mia nonna ti manda, se le vuoi, queste sei uova. Qui in città non se ne trovano di fresche e naturali e lei se le fa arrivare da un contadino che alleva galline ovaiole in un paese qui vicino.», disse, porgendogli il pacchettino incartato con fogli di giornale.
«Grazie mille! Le uova sono una delle mie passioni, soprattutto sbattute! Ma vieni, siediti sul divano! Posso offrirti qualcosa?» propose, indicandole di accomodarsi in sala, «Noi stavamo giusto per fare una pausa.»
«State studiando?»
«No, non ancora. Stiamo lavorando a un progetto: abbiamo creato una startup informatica che crea app di vario genere. È un mercato che consente buoni guadagni, se il prodotto è valido!», rispose dalla cucina, la testa dentro il frigorifero a cercare le bibite messe in fresco il giorno prima.
«Ho della cola, dell’aranciata e dell’acqua gassata. Devo ancora mettermi in bolla con i generi di conforto… da sgranocchiare ho solo patatine e arachidi salate.»
Lo sguardo di Emma era stato distratto dall’arrivo di un gattino in corsa.
«Ma che splendore! Che amore! Ma dove lo hai preso?»
«L’ho trovato questa mattina rannicchiato vicino a un cancello a neanche cento metri da qui. Sembrava solo e spaventato e non ci ho pensato nemmeno un attimo. E così, eccolo a casa!»
«E come si chiama?», domandò, mentre il piccolo le mordicchiava il dito indice con il quale lei lo accarezzava.
«Venceslao.»
«Venceslao?»
«Sì, esatto, Venceslao! Diglielo anche tu che è un nome terribile per un gatto!», suggerì Leo.
Giulio lo guardò di storto.
«Ma no! Non è terribile, anzi! È un nome quasi marziale, importante! Ma ciao, Venceslao! Che bello che sei!»
«Cosa bevi?», domandò il padrone di casa, offrendole un bicchiere.
«L’acqua va benissimo, grazie! Prima hai detto che non state ancora studiando. Cosa studierete?»
«Siamo iscritti al primo anno di Informatica, qui all’Università del Piemonte Orientale. Cominceremo i corsi in autunno. E tu, invece?»
«Io mi sono iscritta a Lettere, anche io all’UPO, qui ad Alessandria!», chiosò sorridendo e continuando a far giocare Venceslao.
Tra una patatina, una manciata di arachidi e un bicchiere d’acqua, chiacchierarono tutti e quattro dei propri interessi per una buona mezz’ora, fino a quando Emma non guardò l’orologio: «Accidenti! Si è fatto tardi! Dovevo accompagnare mia nonna a fare due commissioni venti minuti fa! Devo proprio scappare!», disse alzandosi dal divano.
«Grazie per l’ospitalità!»
«Grazie a te e a Catalina per le uova! Passa pure a trovarmi quando sei da queste parti!»
«Se ti fa piacere, volentieri!», rispose mentre già aveva percorso la prima rampa di scale.
Si chiuse la porta alle spalle e tornò in sala.
«Beh? Che c’è? Cos’avete da guardarmi così?»
I suoi due soci lo fissavano con sguardi dal basso verso l’alto tra il compiaciuto e il canzonatorio.
«Niente, niente!», abbozzò Abdel, «Hai solo un sorriso ebete sulla faccia. Mi sa che Emma non ti ha lasciato indifferente!»
Cercò di spostare la loro attenzione: «Pensiamo a lavorare, che abbiamo un problema bloccante: se non lo risolviamo, ci tocca riprogettare tutta l’applicazione!»
«See, see… lavoriamo…»
Non ci riuscì.
© Roberto Grenna – Riproduzione vietata