Questa mattina, come avevo anticipato durante una intervista rilasciata qualche giorno fa, mi sono recato dal mio medico di famiglia per effettuare il test sierologico. Fortunatamente, l’esito è stato negativo, il che mi consente di poter continuare a lavorare per l’avvio dell’anno scolastico senza interruzioni e senza lo spettro di un periodo di isolamento – che avrebbe, molto probabilmente, coinvolto molte altre persone.
Ne ho sentite tante, in questi giorni, sul test, sulla sua effettiva utilità, sulla sua attendibilità, sulle questioni dei diritti e dei doveri che una semplice operazione come questa possa comportare. Ne ho sentite tante, ma come sempre ho agito con la mia testa, considerando – prima dei pro e dei contro – quale sia il mio ruolo e cosa questo implichi. Chiaramente, ero preoccupato. Preoccupato non tanto perché pensassi di aver contratto il virus, quanto per le implicazioni che una eventuale positività avrebbe causato alla mia famiglia, al mio lavoro e alle persone con le quali condivido il quotidiano. E, anche, a me in prima persona. Preoccupato perché nei mesi scorsi tante sono state le vittime e – a quel che è dato sapere al momento – aver contratto il virus, magari in forma asintomatica, non garantisce l’immunità di fronte a una nuova infezione (non sono medico: leggo, ascolto e cerco di capire da chi di queste cose si occupa). Preoccupato perché, onestamente, in questo momento dell’anno scolastico una situazione del genere mi avrebbe reso impossibile continuare a svolgere il mio lavoro per come dev’essere svolto in questi frangenti.
Però… però… come ho scritto poc’anzi, non ho avuto dubbi sul fatto di (ri)fare il test. Sì, perché lo avevo già fatto a maggio. E, se i contagi continueranno, lo rifarò nuovamente tra qualche mese. Non ho avuto dubbi perché credo che, nella mia posizione, sia importante sapere se io abbia potuto costituire un pericolo per gli altri o, magari, possa ancora costituirlo. Perché sono convinto che un “capo” (mamma mia, quanto mi scappa da ridere quando uso questo termine, ma ci sono affezionato perché persone alle quali voglio bene e che stimo così mi chiamano), a prescindere dal modo nel quale intenda il proprio incarico, debba dare comunque e sempre il buon esempio, perché le parole stanno a zero e i fatti contano. Perché sono certo di aver fatto qualcosa di importante anche per la mia famiglia e per le persone che entrano in contatto con me per motivi diversi dal lavoro (anche solo quelle che incontro al supermercato). Perché sono convinto che, qualsiasi sia il valore di questo test, non mi abbia tolto assolutamente nulla. Anzi, mi ha dato la possibilità di rendermi comunque utile agli altri. Non penso si tratti di altruismo, ma di senso di responsabilità.
… e si continua a lavorare per un protocollo che consenta la ripresa in sicurezza!