Oggi ho tenuto il primo Collegio Docenti in presenza da quando il SARS-CoV2 è entrato prepotentemente in scena nelle nostre vite. Stanchezza accompagnata da emozione: questo ho provato. Stanchezza, perché le ore passate a cercare di risolvere problemi, in questa settimana, sono state tantissime – per tacer delle settimane precedenti. Emozione, perché nonostante la mia misantropia acuta, ma anche cronica, rivedere tutte – o quasi (nessuna dipartita: pensionamenti, trasferimenti… tutte cose tra vivi!) – le persone che con il loro lavoro hanno consentito a più di milleduecento tra Studentesse e Studenti di terminare in maniera più che dignitosa lo scorso anno scolastico mi ha reso – solo per un attimo – soddisfatto del lavoro fino a qui svolto. Oltre a consentirmi di dir loro, di persona, un sentito “grazie” per il loro impegno e per la loro dedizione.
Solo per un attimo soddisfatto. Perché i crucci derivanti dalle critiche cieche, cioè quelle fatte semplicemente per contestare qualcosa che non piace, spingono a cercare sempre nuove soluzioni – nonostante sia evidente che tali rimostranze sono fatte solamente per l’italico gusto di lamentarsi. Già, perché per tanti accorgimenti che si possano avere nei confronti di tutti, nessuno escluso, ci sarà sempre chi si lamenterà perché limitato nella visione dai confini del proprio orticello, ovvero chi lo farà semplicemente per il gusto di mettere in difficoltà l’altro.
Bene. Dato il giusto ascolto a ogni lamentela e a ogni punto di vista, il mio lavoro è quello di prendere decisioni che consentano a circa millecinquecento persone di riprendere l’attività scolastica in presenza al 100% e in sicurezza dal lunedì 14 settembre. E questo ho fatto e farò. Sempre. Non temo le critiche, che anzi possono aiutarmi a crescere. Non temo nemmeno il fallimento, che è compagno di viaggio di ciascuno di noi in ogni momento della vita. Non temo neppure le denunce che potranno arrivare. Non temo nulla. Non perché sia un inguaribile incosciente. Semplicemente perché so di agire nel pieno rispetto della legge e, soprattutto, delle PERSONE che mi circondano e alle quali devo garantire il rispetto di ogni proprio diritto. Semplicemente perché quando si è chiamati a prendere decisioni che riguardano così tante persone, l’unico modo di farlo è agire nell’interesse di tutti e non del singolo. Men che meno, di se stessi. Prendo decisioni. E me ne assumo la responsabilità. Non perché io sia uno spaccone. Semplicemente perché non sono abituato a scaricare le responsabilità su altri. Semplicemente perché ciascuna di esse è ponderata e presa solamente per il bene dell’altro. Anche di chi, da parte sua, del bene altrui non si interessa minimamente.