Tra ieri sera e oggi, dopo aver palesato i frutti dei miei ragionamenti dell’ultimo periodo, mille altri pensieri e mille altre considerazioni si sono fatte largo, ciascuna con il proprio segno “più” o “meno” in perfetto stile prima nota, pronte per essere sommate algebricamente alle altre. Sono elucubrazioni che riguardano sempre il modo di essere e di intendere la vita e gli altri; sono immagini, frasi, comportamenti da parte di persone che mi circondano che mi hanno lasciato un gusto agrodolce in bocca, quando non proprio amaro.
Partendo dal presupposto che, particolarmente sul lavoro, io concedo da subito la mia massima fiducia all’interlocutore, definendo chiaramente le regole d’ingaggio (nello specifico, le tre fondamentali: 1 – non sopporto i fannulloni; 2 – non sopporto i bugiardi; 3 – dico sempre le cose in faccia e mi aspetto che gli altri facciano lo stesso con me), la mia fiducia funziona un po’ come le vite nei vecchi videogiochi da bar, quelli tipo Streetfighter, per intenderci: a ogni “colpo” scende per poi non risalire più. Non ci sono bonus, non ci sono extra: finita la fiducia non c’è più modo di recuperarla. Se questo mio modo di interfacciarmi con il resto del mondo sia giusto o sbagliato non sta a me dirlo, ma devo ammettere che mi ha sempre consentito di arrivare a scoprire come effettivamente siano le altre persone e quanto compatibili possano essere con me.
Può essere che io sia particolarmente severo, ma così capita che ripensando a un comportamento il livello scenda di un tot per cento, che vedendo determinate situazioni scenda di un altro tot, fino a quando – dopo aver cercato in tutti i modi di vedere la buona fede e gli aspetti positivi di ogni evento – non si arriva al fatidico zero. Uno zero che diventa definitivo. Uno zero che sì, in mille modi farò capire che è stato raggiunto. Uno zero che, però, mai mi porterà a comportarmi in maniera sleale. Uno zero che – alla lunga – mi rende sempre un po’ più solitario.