Esiste un tempo nel quale si opera quasi per inerzia. Quasi come se si fosse automi programmati da chissà quale entità soprannaturale. Un tempo nel quale sembra di galleggiare in un liquido che consente la respirazione, ma che ovatta i suoni e rallenta i movimenti. Un tempo che scorre lento quando lo si vorrebbe veloce e, dispettosamente, in maniera più che accelerata quando dovrebbe tendere a fermarsi. Un tempo nel quale fermare il cervello – o quel che ne resta – in attesa di poter meglio percepire ciò che c’è intorno. Un tempo che sa essere triste e allegro, a seconda del momento e della predisposizione mentale, ma che non consente passaggi da uno stato a un altro. Un tempo che è passato, presente e futuro tutti insieme, perché tutto insieme scorre il film della vita se solo ci si azzarda a chiudere per un attimo le palpebre, a coprire gli occhi ormai irritati dal liquido che avvolge tutto. Un tempo che pare raccontare di sconfitte e vittorie che ancora devono venire, ma che scompariranno non appena si tornerà alla realtà. Già, perché è un tempo che fa vivere quasi in una realtà parallela, dove cercare ciò che manca, pur senza mai trovarlo. Un tempo sospeso tra nascita e morte, che naturalmente traghetta da un giorno all’altro della propria esistenza, come Caronte trasporta anime sullo Stige. Un tempo che serve, coi suoi rallentamenti, ad aprire gli occhi sulla realtà – sebbene modificata nei contorni dall’elemento nel quale si è immersi.
Un tempo che, domani, potrà essere ricordato come perso o guadagnato ma che oggi è, semplicemente, sospeso nell’animo di ciascuno di noi.
E c’è il tempo della fine in cui ci si ritrova per perdersi nell illusione di continuare o per accettare con disincanto la sconfitta. In entrambi i casi ci vuole tanto coraggio per esserne consapevoli e decidere se affidarsi all’ultimo soffio di volontà…