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Satisfaction: gran canzone dei Rolling Stones.

Ma non è di musica che voglio parlare. No. È proprio della soddisfazione. Quella personale. Quella professionale. Quella che possa venire in mente a chiunque legga.

Non cerco la felicità personale. Non l’ho mai cercata. A Natale ho sempre cercato di fare regali studiati, di far avverare almeno un desiderio alla persona che doveva riceverli. Ho sempre amato i regali che mi venivano fatti. Anche se erano doppi. Anche se lontani dai miei interessi. Li ho sempre apprezzati al punto da tenere, nei secoli, la carta dentro la quale erano fasciati.

Nelle scelte che non hanno riguardato il lavoro – unico argomento sul quale non ho mai accettato interfereze o altrui desiderata – ho sempre lasciato indietro ciò che m’interessava o mi piaceva per assecondare ciò che l’altra persona desiderasse. Non per piaggeria o per sembrare diverso da come fossi: solo per il piacere di vedere un sorriso stampato sulla sua faccia.

Soddisfazione. Sì, quella è sempre stata la mia – piccola ma grande – soddisfazione. Oserei dire, una sorta di felicità, ammesso che esista.

Oggi, la storia è profondamente diversa. Non perché non ami più cercare di rendere felici le altre persone, no… perché troppo spesso i loro desideri più reconditi non sono realizzabili. Quasi come se ciascuno fosse vittima di una bulimia desiderativa, di una incapacità di godere dei piccoli o grandi gesti che gli altri gli o le rivolgono.

Quasi come se… no, non lo voglio nemmeno pensare!

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