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Ed ecco il primo giorno di vita del villaggio senza nome dei Nani di Sassonia. Nuovi personaggi e curiose interazioni tra di loro vi aspettano!

Giorno 1.

Fu durante uno di questi intensi giorni di lavoro che, in riva al fiume che solcava la foresta – tagliandola praticamente in due – dove si era spinto per raccogliere pietre da utilizzare come tegole per il tetto, l’uomo ebbe modo di conoscere un altro come lui, un altro nano.

«Buon giorno!», salutò Jesolo, «Come mai da queste parti?»

Il suo interlocutore – dapprima quasi spaventato nel trovarsi di fronte, proprio lì dove si recava per rimanere da solo a pensare, un’altra persona che poteva capirne i profondi patemi dovuti a una condizione fisica non invidiabile – lo salutò con fare gentile, ma provocatorio: «Buon giorno a lei! Potrei fare la stessa domanda anche io! Io vengo qui a pensare, a riflettere sulla mia condizione di nano, a parlare con la natura. A starmene, insomma, beatamente per i fatti miei! E a scrivere poemi e poemetti, che toccano le corde più intime di chi li legge. E lei? Cosa ci fa qui?»

Jesolo, mettendosi sulla difensiva, abbozzò: «Io e la mia compagna abbiamo deciso di costruirci una casa in quella radura là in fondo. Ci sto lavorando ormai da giorni e spero di ultimarla presto, per abbandonare la tenda nella quale viviamo e trasferirci al suo interno.»

Dopo una breve pausa, notando l’imperscrutabilità dello sguardo del suo interlocutore, continuò dicendo: «Ma che stupido! Non mi sono nemmeno presentato! Mi chiamo Jesolo!»

L’altro, come se si fosse risvegliato da un improvviso torpore – e pensando, tra sé e sé “Ma che cazzo di nome è, Jesolo?” – si sentì in dovere di presentarsi: «Mi chiamo Foscolo. Sono un poeta.»

Dopo un imbarazzante silenzio, durato qualche lungo istante, Jesolo propose: «Siccome sto raccogliendo pietre che utilizzerò per il tetto della nuova casa, mi farebbe un grande favore se potesse aiutarmi a trasportarle fino alla radura, nonché un grande piacere se, per potermi sdebitare, potessi offrirle una scodella di zuppa. Che ne pensa?»

Nel frattempo, forse attirata dal profumo emanato dall’enorme pentolone all’interno del quale stava cuocendo il desinare, una figura esile ed emaciata si era avvicinata all’accampamento di Jesolo e Ugola. La donna, vedendo sopraggiungere quella che percepì inizialmente come un’ombra, imbracciando lo schioppo, intimò: «Altolà, chi va là, parola d’ordine!»

Spaventata, la figura avanzò a mani levate, mettendo in evidenza tutta la sua magrezza e la sua limitata altezza. Balbettando, rispose: «Mi chiamo Gracile, sono un’orfana in cerca di una famiglia presso la quale poter lavorare e guadagnarmi un piatto di zuppa. Posso avvicinarmi?»

Ugola le fece un cenno affermativo, abbassando lo schioppo: «Se la paga è un piatto di zuppa, si può fare! Vieni, che ti do un anticipo.», disse con tono soddisfatto, mulinando il grosso cucchiaio.

Mentre la giovane trovava conforto nel cibo offertole, giunsero dal bosco Jesolo e Foscolo, carichi di pietre come due camalli del porto di Genova.

Fatte le presentazioni, con l’occhio languido del poeta che cercava di far breccia nello sguardo di Gracile, i quattro si dedicarono al pasto.

All’improvviso, dalla parte più intricata della foresta – quella che faceva da anticamera al gruppo delle grotte, ancora non esplorate dai due pionieri – provenne un fruscio, che allertò i commensali. Ugola, con il suo forte senso di accoglienza, imbracciò lo schioppo: «Altolà, chi va là, parola d’ordine!», urlò verso due ombre che stavano uscendo dai cespugli.

Immediatamente, alla vista dell’arma e in maniera istintiva, le due persone alzarono le mani in segno di resa: «Non sparate! Veniamo in pace!», esclamò il più avanzato dei due.

Due nani. Altri due nani. Un ragazzo e una ragazza, dal colore di pelle scuro, si avvicinarono cautamente al fuoco, dove il marmittone faceva ribollire al proprio interno quel che restava della zuppa.

«Cosa vi porta da queste parti?», domandò Jesolo.

«Siamo in viaggio da molto tempo, stiamo scappando dal nostro paese, dove non si fa in tempo a finire una guerra, che ne comincia un’altra, e vogliamo cercare un posto dove vivere in pace. Dopo mesi, abbiamo trovato questa foresta e stiamo cercando di capire se possa essere un posto ospitale. Vedo che anche voi avete avuto la stessa idea.», disse il giovane, indicando la casa ormai quasi conclusa.

«Abbiamo trovato questo posto e abbiamo deciso di costruire qui la nostra casa. Poi abbiamo incontrato queste due persone e, nel giro di pochissimo, da una coppia siamo diventati già una piccola comunità. A proposito: io mi chiamo Jesolo, lei è la mia compagna Ugola, lui è il poeta Foscolo e lei è la nostra donna di servizio, Gracile. Come vi chiamate?», domandò.

«Io sono Creolo e lei è la mia compagna Creola.», rispose il ragazzo.

La conversazione continuò attorno al fuoco, ciascuno a consumare il proprio pasto. Lavorarono tutti insieme alla parte finale della costruzione della nuova casa, per poi prepararsi per la notte, utilizzando le varie stanze della costruzione per ricoverarsi e riposarsi.

La notte scese, così, sul primo nucleo di abitanti del villaggio senza nome dei Nani di Sassonia.

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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