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Questo primo episodio, che raccoglie il prologo e la genesi di un libro evidentemente differente dagli altri, è un inedito, in quanto il racconto (non è un romanzo e non è una favola, quindi non so chiamarlo in altro modo che “racconto”) non è ancora completo. E, di questo passo, non so se lo sarà mai. Sono graditi commenti, anche solo per dirmi: «Lascia perdere… non è cosa tua!» 🙂

Prologo

Chi non conosce i sette nani? Sì, proprio loro: i sette nani che accompagnano Biancaneve nelle sue avventure e disavventure. Sono certo che tutti ricorderete i loro nomi: Eolo, Mammolo, Pisolo, Brontolo, Cucciolo, Gongolo, Dotto.

Ne sono certo, perché quando in Google cominciate a scrivere le parole di ricerca “i nomi”, la prima proposta che appare è “i nomi dei sette nani”, il che vuol dire che praticamente TUTTI ne dimenticano almeno uno e vanno su Internet a cercare l’intero elenco.

E il mio tallone d’Achille è Gongolo.

Poverino: non c’è una volta che sia una che me lo ricordi al primo colpo! E dire che mi sta anche simpatico, così Gongolo com’è! Che tristezza!

Purtroppo, però, quasi nessuno sa che questi sette, consegnati alla fama perenne da Walt Disney – che partì da una fiaba dei fratelli Grimm – sono solamente i superstiti di un intero villaggio di nani, delle cui gesta ci occuperemo in questo libro.

Che dire, quindi? Bando alle ciance e godetevi questo viaggio in una delle tante foreste presenti in Germania, dove sorgeva il villaggio senza nome dei mille e più nani non citati nella storia.

Genesi

C’era una volta (e come si poteva cominciare, se non così?), in un angolo di una tetra e cupa foresta della Germania delle Valchirie, un piccolo villaggio.

Piccolo non tanto per il numero di abitanti, ma per la loro tipologia: era, infatti, il misterioso villaggio senza nome dei Nani della Sassonia.

Non è chiaro il perché, proprio in quel luogo remoto, ad un certo punto abbiano cominciato a radunarsi nani e nane provenienti da tutta Europa, a costruire con il pregiato legno di quei luoghi le loro case e a cominciare a colonizzare una zona fino ad allora schifata – ci si passi il termine – dal resto degli esseri umani.

E non pensate nemmeno lontanamente al Regno dei Nani di Tolkien, o a una buffa adunanza di fenomeni da baraccone: no, questo villaggio, cresciuto fino a diventare quasi una piccola (e c’erano dubbi?) città, era ricco di persone piene d’iniziativa, che hanno saputo specializzarsi ognuno in un’attività, da mettere poi al servizio degli altri.

Si narra che, al termine di una primavera umida, che stava volgendo in una fresca estate, un immigrato proveniente dall’Italia – e più precisamente dal Veneto –, tale Jesolo, dopo lungo peregrinare incontrò, nel folto del bosco, una radura che lo ispirò a fare ciò a cui non aveva mai pensato: costruirsi un’abitazione e fermarsi lì a vivere.

Non era solo, il buon Jesolo: portava con sé una donna, quella che lui definiva “la sua splendida compagna”, una ex cantante lirica con due importanti baffi, conosciuta durante il suo passaggio in Lombardia, che rispondeva al nome di Ugola.

Jesolo e Ugola, novelli Adamo ed Eva, dopo uno sguardo complice non ebbero più dubbi: lì, proprio lì, in quella radura, sarebbe sorta la loro casa.

Fu così che, in barba a piani regolatori e a problematiche di tipo amministrativo, i due piazzarono la loro tenda, mentre giorno dopo giorno Jesolo segava, tagliava, martellava, dipingeva… insomma, si faceva un mazzo tanto per rendere felice la sua compagna, con la più bella casa che lei avesse mai visto.

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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