Sia pure in deroga alla matematica (che non fa rientrare il numero 1 nella categoria), sono figlio di soli numeri primi. Prendendo da Wikipedia la definizione: “In matematica, un numero primo (in breve anche primo) è un numero intero positivo che abbia esattamente due divisori distinti. In modo equivalente si può definire come un numero naturale maggiore di 1 che sia divisibile solamente per 1 e per se stesso; al contrario, un numero maggiore di 1 che abbia più di due divisori è detto composto.”
E niente… in maniera allargata, mi sento in dovere di ricomprendere il buon “1” tra i numeri primi, in quanto è vero che non ha due divisori distinti (pórello! È divisibile solo per 1 e… per 1!), ma non può nemmeno essere estensivamente ricompreso nei composti.
Mi sento così, comunque. Estensivamente figlio di numeri primi, divisibile solo per me stesso e per 1. E non ne faccio una questione di peso (che, per altro, in questo periodo è pure lui numero primo – e non dico quale per pudore…), ma di testa, piuttosto che di modus operandi et vivendi. Vivo da quando sono nato, grazie a quanto insegnatomi dai miei Genitori e – più in generale e in senso allargato – dalla Famiglia, cercando di rispettare al massimo le persone con le quali devo entrare in contatto per i motivi più disparati: lavoro, vita privata e quant’altro possa venire in mente. Rispetto, come sostantivo, rispettare, come verbo, sono due parole che non mi hanno mai abbandonato. Neppure quando il primo mi sia stato tolto da parte dell’interlocutrice/interlocutore del momento e dell’occasione. Neppure quando il nervoso e l’arrabbiatura mi abbiano offuscato i sensi. E lo cerco. Lo cerco nell’altra e nell’altro. Lo cerco in qualsiasi rapporto e insisto perché la dimensione del confronto sia sempre quella del riguardo nei confronti di chi mi si pari di fronte. Lo cerco e, troppo spesso, non lo trovo. Non lo trovo quando non sono libero di esprimere le mie idee o le mie opinioni senza essere aggredito, additato o giudicato. Non lo trovo quando chi interloquisce con me cerca di prendermi per i fondelli e mi racconta un sacco di balle. Non lo trovo quando le persone hanno solo diritti e nessun dovere. Non lo trovo quando, sul lavoro, si tira a fare il minimo e non si guarda al di là del proprio naso. Non lo trovo quando l’ascolto è ritenuto superfluo. Non lo trovo quando tutto è dovuto. Non lo trovo quando l’azione è dettata da semplice egoismo. Magari travestito da amore verso l’altra persona. Non lo trovo sui social, sui giornali, nelle trasmissioni televisive, nei comizi. Non lo trovo in chi si definisce politico, ma altro non è che politicante – per altro scarsamente formato sul proprio ruolo e sulle leggi alle quali è soggetto, Costituzione in primis. Non lo trovo in chi giudica e non valuta. Non lo trovo nei quintali di spazzatura gettati a terra. Non lo trovo nelle mascherine abbassate o assenti. Non lo trovo – e mi spiace tanto dirlo per il ruolo che rivesto per lavoro e non solo – nelle leggi pro domo di Dio solo sa chi. Non lo trovo in chi parla di cose che non conosce.
Il rispetto è come il numero dei divisori di un numero primo: due, 1 e se stesso. Il rispetto è booleano: o c’è, o non c’è. Il rispetto che do, quello che cerco e non trovo: ecco perché mi sento numero primo, figlio di numeri primi.