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Ecco qualche altra pagina del romanzo “Il fiume”, che è acquistabile qui. Buona lettura!

«Cosa vuole dire “niente”?»

«Volevo chiederti se Benedetta ti ha ancora detto qualcosa su Gianni.»

«A dire la verità, me ne ha parlato dal momento nel quale abbiamo messo piede in camera fino a quando siete arrivati voi.»

«E voi? Cosa le avete detto di lui?»

«Le abbiamo solo detto che forse la cosa si poteva fare, che in qualche modo li avremmo fatti restare soli e che a quel punto tutto sarebbe dipeso da lei. E voi? Vi ho sentiti ridere a crepapelle prima di venire qua! Mica c’è sotto qualche scherzo?»

«Beh, in effetti uno scherzo sotto c’era!»

«Nei confronti della Benny? Guarda che se…»

«No, no! Lo scherzo lo abbiamo fatto al nostro bel tipo! Gli abbiamo fatto credere che lei gli parlasse solo per prenderlo per i fondelli!»

«E lui?»

«E lui a momenti si metteva a piangere! Poveraccio! Mi ha fatto una pena! Aveva una faccia, ma una faccia! Del resto, lo capisco.»

«Cosa vuoi dire con “lo capisco”?»

Mi ero tradito! Questa volta non era un’esca per lei. Non c’era malizia in quella frase. Era un pensiero a voce alta, quasi una confessione.

«Niente, so cosa voglia dire vedersi crollare davanti qualche cosa alla quale si tiene tanto.»

Stavo peggiorando la situazione. Sapevo che Elena avrebbe voluto subito venire a conoscenza dei pensieri che affollavano la mia testa. Da questo punto di vista eravamo molto più maturi degli altri. Ciascuno voleva sviscerare i problemi dell’altro per poterlo aiutare, per potergli fornire un appoggio, anche solo morale.

«Adesso mi dici tutto! È da quando siamo partiti che sei strano! Non ti credere che non me ne sia accorta! Non ti voglio vedere in questo stato, con quel muso lungo e quegli occhi persi nel cielo, nel vuoto. Voglio sapere cosa ti passa per la testa!»

La tentazione fu grande: dichiararmi. Ecco quello che avrei dovuto fare. Non sottrarmi. Dichiararmi.

«Non c’è niente di strano! È solo che da alcuni giorni sono di pessimo umore e non me ne va dritta una.»

«Non ti credo! Non mi stavi guardando negli occhi mentre parlavi. Fai così solo quando dici una bugia. L’ho notato quando lo fai con tua madre!»

Ero alle strette.

«Ecco, vedi…»

Un fulmine! Un aiuto insperato dal cielo. Subito dopo, prima che lei avesse il tempo di chiedermi altro, il fragore del tuono.

«Sarà meglio che rientriamo! Qui sta per mettersi a piovere!»

«Va bene. Rientriamo. Non credere di cavartela così! Appena dentro prendiamo e ce ne andiamo a parlare in bagno.»

Bussammo discretamente al vetro. Ci venne ad aprire Gianni, con un sorriso che faceva capire tutto.

«Beh? Avete perso la lingua?»

Speravo di intavolare un discorso con loro, in maniera tale da rimandare quello con Elena.

«Tutto ok!», mi disse sottovoce.

«Se non ti dispiace, però, vorremmo restare soli ancora un po’!»

Tombola! Ero nei guai! Avrei dovuto scoprirmi, raccontare tutto. Non sarei stato in grado di resistere per molto tempo all’insistenza delle sue domande e avrei confessato tutto. Anche la storia del bacio non dato. Anche la gelosia per Carlo. Carlo! Forse avevo trovato il modo per sviare il discorso! Come da copione, ci spostammo nel bagno.

«Allora?», cominciò.

«Allora che cosa? Ce l’hanno fatta! Sono contentissimo per loro!»

«Sì, anche io sono molto contenta, ma non è di loro che voglio parlare. A me preoccupi tu, coi tuoi malumori e i tuoi misteriosi silenzi.»

«Un momento! Volevo chiederti una cosa, prima. Hai notato come ti guarda Carlo? Secondo me gli piaci!»

«Non cambiare discorso. Cosa c’entra Carlo, adesso?»

«Beh, qui è tutto un fiorire di nuovi amori e mi domandavo se…»

«“Se” cosa?»

«Se poteva interessarti un tipo come lui. Ho sentito le risposte brucianti che gli hai dato negli ultimi giorni. Anche quella di stamattina. Quello che non capisco è se gli rispondi male perché non ti piace o perché vuoi attirare la sua attenzione!»

«Non dire stupidaggini!»

Si alterò un poco.

«Di quel bellimbusto impomatato non m’importa niente. È uno che si crede bellissimo solo perché il Signore lo ha fornito di un fisico statuario e di un bell’aspetto. Sai benissimo che odio i tipi come lui!»

«Non ti scaldare! È solo che volevo avvisarti di stare attenta. Quello è un tipo cocciuto e tornerà sicuramente alla carica.»

«Grazie per l’avviso, paparino! So benissimo cavarmela da sola!»

Se la conoscevo bene, quello sbalzo d’umore non le avrebbe fatto proseguire il precedente discorso.

«Ma poi scusa, a te cosa importa se quello ci prova con me? Se fosse un altro potrei anche cedere e accettare un invito ad uscire!»

Restai in silenzio per un po’.

«“Un altro”, chi? »

La mia domanda la colse di sorpresa. La vidi cambiare espressione per la seconda volta in pochissimi minuti.

«Un altro che non sia lui.»

Volli insistere.

«Chi?»

Non ebbi il coraggio di chiederle: «E perché non io?»

No, non lo ebbi. Dopo qualche secondo di silenzio, sentimmo bussare.

«Potete uscire. Simona e Fabio sono tornati e possiamo farci una partita a scala quaranta!»

Uscì per prima lei, quasi imbarazzata. La seguii a ruota, quasi fiero della stoccata che le avevo inferto. C’era la nostra stanza libera.

«Vuoi che andiamo a parlare di là?», le domandai sottovoce.

«No. Per stasera ne ho abbastanza di parlare! E poi ho proprio voglia di giocare a carte!»

Non mi sembrava arrabbiata. Forse pensierosa, ma non arrabbiata.

«Io e Benedetta volevamo ringraziarvi! Se non fosse stato per voi, a quest’ora non saremmo insieme.»

Gli occhi di Gianni esprimevano tutta la felicità di quel “sì”. Noi quattro ci mostrammo soddisfatti del lavoro compiuto e facemmo promettere ai due neo-fidanzati che la sera seguente ci avrebbero pagato il gelato.

«Sicuramente! Anzi! Vi meritereste una cena!»

Sorridevo. Sorridevo come gli altri. Lo sguardo, però, era per lei. Aveva un sorriso abbozzato in viso, ma sapevo benissimo che tutto ciò che le accadeva intorno non la tangeva minimamente. Fu lei a prendere per prima in mano il mazzo di carte, quasi per scongiurare un mio possibile ritorno sull’argomento precedente. Decidemmo di giocare a coppie, ma Elena e io fummo subito notevolmente svantaggiati. Nessuno dei due aveva la necessaria concentrazione e il fatto che giocassimo insieme si rivelò un punto (magari fosse stato solo uno) a favore delle altre due squadre. Uscimmo tre volte nell’arco di sei partite.

«Si può sapere cosa vi prende?»

«Serata storta!»

«Già! Proprio una serataccia! Tutte svizzere.»

Nessuno volle bissare la domanda di Fabio, anche perché ormai s’era fatto tardi e il programma per il giorno dopo prevedeva la solita colazione alle otto e una mezza dozzina tra palazzi e gallerie da visitare. La pioggia che batteva contro i vetri ci sconsigliò di passare dal balcone. Fui io a chiudere a chiave la porta della stanza. I miei due compagni, seduti sul letto matrimoniale, mi fissavano.

«Beh? Che avete da guardare? Ho la faccia sporca?»

«No! È solo che abbiamo notato le vostre facce, la tua e quella di Elena, intendo, quando siete usciti dal bagno. È successo qualcosa? Se possiamo darti una mano!»

«No, no! Non vi preoccupate. Niente di preoccupante. Uno scambio di idee e nulla più.»

«Senti un po’, che cosa ti sta succedendo?»

Era dunque così evidente? Se ne erano accorti anche loro? Cominciavo a temere che le cose non sarebbero andate come avrei voluto, che forse stavo esagerando.

«Assolutamente niente! Sono solo stanco. Anzi, stanchissimo. Mi capita sempre in questo periodo dell’anno, a metà primavera. Se siete d’accordo direi di andare a dormire!»

«Va bene, anche se non ci convinci. Ricordati che non c’è solo Elena con la quale tu possa confidarti. Puoi contare anche su di noi!»

Stavo trovando due veri amici proprio nel momento in cui rischiavo di perdere il rapporto più importante della mia vita. Ora posso rispondere alla domanda che Elena aveva fatto al prof. di matematica sul pullman. Non può esistere l’amicizia tra uomo e donna. L’ho sperimentato sulla mia pelle. Siamo sempre noi uomini che roviniamo tutto, che vogliamo andare più in là, che vogliamo qualcosa in più. Troppo spesso, nei rapporti interpersonali, sono gli ormoni a ragionare per noi, a spingerci a fare cose che a mente fredda non crederemmo mai possibili. C’è chi riesce a frenare i propri bollenti spiriti, ma molti non ne sono capaci. Come me. Passai una notte molto agitata, al punto che verso le quattro proposi a Gianni uno scambio di letti: io sarei andato nel suo singolo e lui avrebbe dormito nel matrimoniale con Fabio. Accettò e si spostò con gli occhi ancora chiusi. I rumori del temporale contribuirono molto al mio stato d’animo. Mi alzai molto più stanco di quando mi ero coricato.

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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