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Ecco qualche altra pagina del romanzo “Il fiume”, che è acquistabile qui. Buona lettura!

«Questa volta offro io!»

«Per che santo, scusa?»

«Nessun santo! Ti offro la colazione! Beh, la seconda colazione. In albergo abbiamo già mangiato come due maialini! Dicevo, ti offro la seconda colazione per ringraziarti delle cure che mi hai prestato subito dopo il mio k.o.! Non ti ho ancora ringraziata come si deve!»

«Figurati! E poi, se proprio vogliamo dirla tutta, non è stato un k.o.!»

«Cosa intendi?»

«Indovina?»
«No, dai, dimmelo!»

«Solamente quando tu mi dirai quello che voglio sapere!»

«E cioè?»

«Cioè per quale motivo tu fossi così triste l’altra sera, sul balcone!»

Avevamo già percorso, parlando, il breve tragitto che ci separava dal bar della stazione di servizio.

«Poi ne parliamo. Per il momento, però, lascia che paghi io!»

Annuì. Cappuccino e brioche non mi chiarirono le idee. Stava giocando con me perché aveva capito tutto o, più semplicemente, cercava di farmi uscire allo scoperto, di scoprire cosa le nascondevo? Uscimmo.

«Allora? Vogliamo farci questa chiacchierata?»

«Quale chiacchierata?»

«Uffa! Mi sembri proprio un po’ tonto, oggi! Ma ti diverti?»

Fece per allontanarsi da me, come seccata.

«Intanto ho capito tutto!»

La lasciai salire per prima. Si sedette un po’ imbronciata, con quella faccia che voleva essere seria, ma che nascondeva una gran voglia di ridere. Non replicai all’ultima affermazione che aveva fatto. Non avrei fatto altro che prolungare la mia sofferenza per una discussione che non volevo affrontare. Mi accomodai anche io, proprio mentre lei si sistemava la cuffia del walkman sulle orecchie. Appoggiò la schiena al sedile e si rilassò. Dopo pochi minuti me la ritrovai addosso. Era crollata, aveva ceduto alla stanchezza accumulata in quei giorni. Me la coccolai per tutto il viaggio, non accorgendomi degli occhi attenti di Gianni che mi sorvegliavano da dietro. Non riuscii ad addormentarmi, forse per il male alla faccia che non si era ancora deciso a lasciarmi, forse per paura di svegliarla. Come sul balcone, la sera prima. Come all’andata.

«Stavolta sono sicuro! Ti sei innamorato di lei!»

Quell’affermazione mi lasciò senza fiato. All’indomani di quel viaggio il mio segreto non era più tale.

«Ma no! Cosa dici?»

«Guarda che ieri ti ho visto! Non le hai staccato gli occhi di dosso nemmeno per un momento! Passi che siete amicissimi, ma una cotta coi fiocchi la riconosco ancora!»

Mi aveva smascherato senza che nemmeno me ne accorgessi.

«Guarda che se n’è accorto anche Fabio. Stai tranquillo! Simona e Benedetta non ne sanno niente! Sempre che non se ne siano accorte anche loro da sole!»

«Ma?»

«Dario, non cercare di negare l’evidenza! I primi dubbi mi erano venuti dopo che te le eri prese da Carlo, ma il tuo comportamento di ieri è stata la conferma ai miei sospetti. Mi sbaglio?»

«No, beh… ecco… scusa! Suonano alla porta! Devo andare! Ci vediamo! Sentiamo!»

Aprii.

«Ciao!»

«Ciao!»

«Che ti è successo? Hai una faccia!»

«Niente, niente! È solo che non sono ancora completamente guarito. Mi fa ancora un po’ male.»

«Beh, sei pronto per venire a messa?»

«Un attimo solo! Infilo le scarpe e usciamo.»

Mi avviai verso la mia stanza.

«Dario… senti…»

«Sì?»

«Niente…»
Non volli nemmeno sapere se mi stesse prendendo una volta di più in giro. Ero preoccupato. Seriamente. Fabio e Gianni non avrebbero parlato, ne ero sicuro, ma. E se anche le altre due avessero capito tutto? Come si sarebbero comportate? E poi, ancora: davo proprio così nell’occhio? Non riuscii a trovare pace e anche il mio dialogo con Elena ne risentì. Dopo la funzione, come ogni Domenica, la riaccompagnai a casa.

«Sei sicuro di sentirti bene?»

«Sì, perché?»

«Sei più strano che quando eravamo a Firenze. Non hai aperto praticamente bocca in tutta la mattinata e ti ho sorpreso più volte con lo sguardo perso nel vuoto. Che c’è?»

«Niente che non si possa risolvere con un’aspirina e un po’ di riposo.»

Abbozzai un sorriso.

«Allora oggi pomeriggio non ci vediamo?»

«No, non intendevo questo! Vieni da me per le tre, come d’accordo. Dobbiamo cominciare il ripasso per il compito in classe di matematica di Martedì, non ricordi?»

«Sì, ma se non stai bene…»

«Tranquilla! Un riposino subito dopo mangiato e sarò più brillante che mai!»

«Come vuoi! Ci vediamo alle tre, allora.»

«Alle tre!»

Me ne andai a testa bassa. Altro che aspirina! Mi ci sarebbe voluta una bottiglia di vodka per tirarmi su. Mangiai in tutta fretta e mi impossessai del telefono, chiudendo la stanza in maniera tale che nessuno potesse entrare. Lasciai fuori persino Candy.

«Pronto?»

«Ciao, Gianni! Sono Dario!»

Smisi di parlare solo tre quarti d’ora dopo, a seguito delle ripetute minacce dei miei. Mi sembrò di essere più leggero d’un quintale, una volta chiusa la telefonata. Affrontai quel pomeriggio di studio con ben altro spirito rispetto a quello di poche ore prima. Se ne accorse anche lei.

«L’aspirina fa miracoli, eh?»

«Eh, sì! Fa proprio miracoli!»

Riuscimmo a ripassare quasi metà programma in quattro ore.

«Sono già le sette. Chiama a casa: ti fermi a cena con noi!»

«Va bene! Telefono un attimo.»

La guardai mentre si dirigeva lentamente verso il telefono. So di scrivere una cosa banale, ma era veramente la creatura più bella che avessi mai visto in vita mia.

«Mi dispiace, Dario! Sono arrivati i miei zii con quella smorfiosa di mia cugina. Si fermano a cena e così mia madre mi ha chiesto di rientrare.»

«Va bene! Sarà per la prossima volta. Aspetta che ti accompagno.»

«Non ti disturbare!»

«Nessun disturbo, anzi!»

Si girò lentamente e sorrise. Non sono in grado di descrivere il suo sguardo in quel momento. Sembrava voler esprimere gratificazione, quasi come se quella parola, “anzi”, le avesse fatto piacere. Mi caricai in spalla il suo zaino e ci avviammo. Percorremmo il tragitto lentamente.

«Senti, Dario!»

«Sì?»

«Uno di questi giorni, seriamente, vorrei che tu e io parlassimo di alcune cose che sono successe in gita.»

«Tipo?»

«Tipo quel famoso dialogo interrotto del quale ti ho detto ieri. Non voglio fartelo per dispetto! È che sono successe tante e tali cose che forse…»

«Forse? »

«Forse sarebbe meglio che ci fermassimo un momento a discuterne!»

Abbassò lo sguardo verso terra, non so se per imbarazzo o per riflettere meglio.

«Facciamo così: adesso abbiamo ancora un mesetto piuttosto pesante sul fronte scolastico. Prima finiamo tutte le interrogazioni e i compiti in classe. Poi, con tutta calma, ci ‘fermiamo a parlare’, come hai detto tu. Non sei l’unica ad avere qualcosa da dire.»

Sorrise ancora una volta, sempre dolcemente. Ci fissammo per un attimo che mi sembrò lunghissimo.

«Beh, ci vediamo domani mattina!»

«Va bene! Passeremo prima, perché mia madre dovrà andare a fare gli esami del sangue. Facciamo per le sette e un quarto davanti a casa tua, va bene?»

«Anche prima, se volete!»

«No, sarà più che sufficiente partire per quell’ora! Adesso scusa, ma li ho fatti aspettare anche troppo. Ciao!»

«Ciao. A domani.»

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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