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Rispettammo quella sorta di patto. Il “periodaccio” durò praticamente fino al penultimo giorno di scuola. La professoressa di italiano, non contenta della nostra media che rasentava l’otto, ci volle risentire entrambi. Il sette di giugno. L’avevo trovata antipatica dal primo momento nel quale l’avevo vista, ma quella carognata me la fece odiare sentitamente. Elena non se la prese più di tanto. Per me, invece, fu una sorta di affronto personale. Ci difendemmo ottimamente per due lunghissime ore, ripetendo praticamente tutto quello che avevamo studiato lungo l’anno. Riuscimmo a spuntarla, tornando a posto dopo esserci battuti un cinque proprio davanti agli occhi dell’arpia. Da quel pomeriggio avremmo pensato solamente al fiume e… ai nostri discorsi. Ci ritrovammo verso le quattordici. Ci eravamo impegnati con i nostri compagni a cucinare una torta per la festa di fine anno del giorno seguente ed eravamo seriamente intenzionati a mantenere fede alla parola data. Eravamo abbastanza bravi a preparare i dolci, sia quelli da forno, sia quelli al cucchiaio.
«E se facessimo una sacher?»
«Mi manca la marmellata!»
«Andiamola a comprare!»
«Guarda che oggi è Mercoledì e i negozi sono chiusi!»
«Allora prepariamo una bella torta al cioccolato. A casa ho un paio di bombolette di panna spray: le porteremo a scuola insieme alla torta e le useremo per guarnirla subito prima di mangiarla! Cosa ne dici?»
«Dico che è un’idea fantastica! Io ne ho appena avuta un’altra: siccome avanzerebbero tre chiare d’uovo, perché non prepariamo anche qualche meringa?»
«Si può fare, ma non ci ho mai provato!»
«Nemmeno io, ma sul libro c’è la ricetta, noi siamo capaci a leggere. Fai due più due e…»
«Sei proprio uno scemotto quando ti ci metti!»
Vivemmo quel pomeriggio liberi da ogni pensiero e… dalle nostre madri. Se ne erano andate da una loro amica, ignare dei nostri piani. Sarebbero tornate solo a delitto abbondantemente compiuto. Lavorammo di buona lena e riuscimmo a portare avanti contemporaneamente le due ricette. Elena decise di preparare la torta, lasciando a me l’incombenza delle meringhe.
«Sei stato tu a dire che sappiamo leggere, no? Beh, io oggi mi sento molto analfabeta!»
Rise di gusto, specie dopo avermi guardato in faccia. Resistemmo per ben quattro ore, più di due delle quali passate davanti al forno a controllare che le meringhe cuocessero correttamente, in cucina. Alla fine sembrava un campo di battaglia. C’erano stoviglie e posate sporche dappertutto, ma lo scopo era stato raggiunto. I nostri compagni si sarebbero leccati i baffi. Non furono gli unici. Anche i nostri professori fecero altrettanto. Con mio grande piacere, poi, la prof. di italiano non si fece vedere. Era il suo giorno libero e decise di non venire nemmeno per un salutino. Mangiai con molto gusto la fetta destinata a lei, quasi per farle dispetto. Passammo cinque ore veramente diverse, con quello stesso clima che c’era stato in gita. Il suono della campanella ci trovò ancora impegnati nei nostri discorsi sulle vacanze e sul modo di passarle, ma ci volle ben poco perché l’aula si svuotasse.
«Beh, professore, ci vedremo a settembre!»
«Certo, Elena! Comportatevi bene, tu e quell’altro disperato!»
«Non si preoccupi! Lo terrò a bada io!»
Sorrise, così come sorrise anche il prof. di matematica. Non sapeva, come neppure io potevo sapere, che le cose sarebbero andate diversamente, che lui e io ci saremmo rivisti molto prima che a settembre. Venne anche il giorno dei voti. Lo attendemmo con ansia spasmodica, quasi come se la promozione potesse essere messa in dubbio da qualcosa o da qualcuno. Quel mattino andammo a prendere il pullman presto, poco dopo le otto. Ci sedemmo sui sedili davanti, come era nostra abitudine, parlando del più e del meno.
«Speriamo che sia andato tutto bene!»
«Ma di cosa ti preoccupi? Hai mantenuto la media dell’otto, anche qualcosa in più, per tutto l’anno! Non vedo quali problemi ci possano essere, per te!»
«Ha parlato quello che ha i voti bassi! Anche tu mi sembri piuttosto agitato! O mi sbaglio?»
«No! Non ti sbagli! Secondo me, alla Varedo sto antipatico!»
«Ma dai! Il fatto che ti abbia interrogato il penultimo giorno non vuole mica dire che tu le stia antipatico. E poi, se andiamo a guardare, ci ha interrogati insieme!»
«Già, hai ragione! Speriamo!»
«Sono pronta a scommettere che avrai la media più alta della classe!»
«Impossibile! Ho davanti almeno una persona con la media maggiore della mia! Non fare la furbetta!»
«Guarda che dico sul serio! Secondo me sarai tu il secchione della classe!»
«Insisto!»
«Allora scommettiamo sul serio!»
«Che posta intendi giocarti?»
«Facciamo così: se dovessi avere ragione io, oggi pomeriggio finiremo quel famoso discorso!»
«Quale discorso?»
«Non fare il furbo! Quello di Firenze!»
«Mmh! E se dovessi vincere io?»
«Beh, in quel caso, in quel caso, non saprei! Decidi tu una posta!»
«Se dovessi aver ragione io, beh, tornando a Firenze, anche tu mi hai lasciato a metà un discorso!»
«Quando mai?»
«Quella stessa sera, in bagno. Ricordi?»
«No!»
Mi sembrò sincera.
«Bene! Allora penserò io a rinfrescarti la memoria, una volta vinta la scommessa!»
L’estate cominciava proprio in quel giorno, ma già prometteva giornate bellissime e caldissime. Avevamo deciso di rimandare il primo bagno al fiume a dopo la lettura dei tabelloni. Quel pomeriggio, anche grazie alla temperatura piuttosto alta, sarebbe stato quello buono. Scendemmo dall’autobus e ci incamminammo in direzione della scuola.
«Perché stai correndo, Dario?»
«Perché sono ansioso di sapere chi ha vinto la scommessa!»
«Ma lo sai che quando fai così mi sembri proprio un bambino?»
«Sì, e allora?»
«Scemo!»
Ridemmo tutti e due, rallentando il passo. L’atrio del liceo brulicava di ragazzi.
«Ciao, Elena! Ciao, Dario!»
I nostri quattro compagni di follie ci accolsero sorridendo.
«Non diteci niente, ragazzi! Vogliamo leggere noi!»
«Va bene! Il nostro tabellone è il secondo a partire da destra.»
«Grazie!»
Rispondemmo all’unisono e ci avvicinammo insieme alla vetrata sulla quale erano affissi i risultati.
«Tu hai tutti otto e due nove!»
«Non vale! Anche tu! Tutti otto e nove di matematica e latino!»
«Tu di matematica e disegno!»
«A questo punto, direi di guardare la condotta!»
«Ci sto! Tu hai nove»
«E tu pure! Non è possibile! Pari su tutta la linea!»
«E dire che mi sentivo già la vittoria in tasca!»
«Eh, no, carina! Ero io che credevo d’aver già vinto!»
Benedetta, Simona, Gianni e Fabio si avvicinarono ridacchiando.
«Beh? Che succede?»
«Niente, niente!»
«Non so se avete notato, ma siete i due secchioni della classe. Avete staccato il terzo classificato di quasi un punto!»
«Beh, studiare insieme dà i suoi frutti, no?»
«Sicuramente, ma, adesso direi che potete anche pagarci un gelato!»
«Come? Per che santo, di grazia?»
«Non fare il finto tonto! Chi ha dei voti così non può esimersi dal pagare qualcosa ai sui amici! Vero, ragazzi?»
Gli altri annuirono. Ci incamminammo lentamente, non prima di aver dato un’occhiata ai tabelloni delle altre classi.
«Ciao, Dario! Elena!»
«Ciao, Carlo! Allora? Com’è andata?»
«Meglio del previsto! Mi hanno dato latino e italiano a settembre! Avrei dovuto riparare anche matematica, ma il professore mi ha portato agli scrutini col sei, a patto che gli promettessi d’impegnarmi a fondo a partire da settembre, l’anno prossimo. Glielo devo, dopo tutto quello che ha fatto per me. Ho visto i vostri voti! Complimenti! Siete persino riusciti ad avere la stessa media! Sapeste quanto vi invidio! Non ho mai visto una coppia affiatata come voi!»
«Coppia? Guarda che noi siamo amici!»
«Scusa se insisto, Elena, ma secondo me c’è qualcosa in più! Adesso scusatemi, ma mio padre mi aspetta in macchina per portarmi a lavorare. Dati i ‘brillanti’ risultati scolastici ha deciso di trovarmi un posto da un benzinaio, per tutta l’estate. Almeno guadagnerò due lire! Ci vedremo a settembre! Ciao e… grazie ancora!»
Scappò di corsa prima che potessimo replicare. Ci guardammo per un momento, poi lei disse: «Beh? che cosa stiamo aspettando? Andiamo a prendere ‘sti gelati, così poi non ci pensiamo più!»
Passammo una mattinata serena, anche se mi accorsi che Elena non era così allegra come voleva dimostrare. Ci accomiatammo dalla compagnia poco prima di mezzogiorno, giusto in tempo per prendere il bus che ci avrebbe ricondotti a casa.
«Cos’hai?»
«Come?»
«Ti sto chiedendo cosa c’è che non va.»
«Assolutamente niente!»
«Non raccontarmi bugie! So benissimo che c’è qualcosa che ti preoccupa. Vuoi parlarne?»
«Ripeto! Non c’è assolutamente niente! È solo che dovremo rimandare il nostro primo bagno ancora di qualche giorno!»
«Perché?»
«Tu fidati! Dobbiamo rimandarlo! Sempre che tu sia sempre dell’idea di farlo insieme!»
«Ah, ho capito! Non ti preoccupare. Aspetterò fino a quando potrai! Non c’è gusto a fare il primo bagno della stagione da soli!»
Le sorrisi. Lessi sulle sue labbra un sorriso sforzato, che non fece altro che confermare i miei sospetti. Per fare sì che non si chiudesse ancora di più, feci finta di niente.
«E con la scommessa? Come la mettiamo?»
«È finita pari, no?»
«No! Io avevo scommesso che tu saresti stato il migliore della classe, ma non avevo specificato se da solo o in compagnia!»
«Beh, se è solo per questo, anche per me vale lo stesso discorso!»
«No, no! Non rubarmi le idee! Io ho vinto la scommessa, quindi dovrai finire quel famoso discorso!»
«Ma se non mi ricordo nemmeno più di cosa stavamo parlando!»
«Io me lo ricordo benissimo e sarò lieta di rinfrescarti la memoria!»
«Vabbè! Ad una condizione, però!»
«Nessuna condizione! Quale?»
«Siccome, in un certo senso, ho vinto anch’io, vorrei che anche tu finissi un certo discorso! Penserò io a rinfrescarti la memoria e… a riportarti allo stesso punto al quale eravamo arrivati! Ti va?»
«Non se ne può proprio fare a meno?»
«Eh, no!»
«E va bene! Mi piegherò a questo infimo ricatto! Comincia tu, comunque!»
«Giuro che non è una scusa, ma non mi ricordo assolutamente di cosa stessimo parlando, a Firenze!»
«Stavamo parlando del fatto che tu sia così strano negli ultimi tempi. Non solo dalla gita. Da prima.»
«Ah, quello. È un discorso molto lungo e, sinceramente, non me la sento di affrontarlo adesso. Tra cinque minuti saremo al paese e dovremo rincasare subito per il pranzo. Ti dispiacerebbe molto parlarne oggi pomeriggio? Ci troviamo presto e ce ne andiamo al fiume. Ti va?»
«Promettimi che non cercherai di fuorviare il discorso un’altra volta.»
«Te lo prometto! Preparati anche tu, comunque. Ti rivolgerò una domanda che sta aspettando una risposta da quella stessa sera!»
«Che domanda?»
«Pensaci bene. Sono sicuro che te la ricorderai da sola. Come indizio posso solo dirti che stavamo parlando di Carlo e del fatto che secondo me ti moriva dietro.»
«Ah! Ci penserò!»
Disse questa frase alzandosi dal sedile. Eravamo arrivati. L’accompagnai a casa.
«Ci vediamo oggi alle due e mezza, ok?»
«Va bene!»
«Ah! Anche se non puoi fare il bagno, vieni con il costume lo stesso! Il sole puoi prenderlo, no?»
«Certo!»
Sorrise. Ci salutammo. Percorsi il tragitto che mi separava da casa con mille pensieri nella testa. Eravamo arrivati alla resa dei conti e non avrei più potuto, o meglio dovuto, scappare. Dovevo riuscire a trovare le parole giuste, le frasi più adatte per farle capire i miei sentimenti. L’amavo e, finalmente, glielo avrei detto. Mangiai ben poco, assorto com’ero nei miei pensieri. Mia madre non ci fece troppo caso. Evidentemente si era rassegnata anche lei alle mie stranezze. Non si era stupita più di tanto nemmeno quando il professore di matematica le riferì della mia scazzottata con Carlo. Non so come spiegarmelo, ma sembrava quasi che si fosse accorta che stavo attraversando un periodo di cambiamento, di involuzione. Che avesse capito tutto anche lei? Sinceramente, non poteva importarmene di meno, soprattutto quel pomeriggio. Alle quattordici e venticinque uscii per andarla a chiamare. Non feci molta strada, visto che era già davanti a casa mia ad aspettarmi.
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