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Ero sempre piuttosto serio, quando le parlavo. Cercavo ancora di mantenere quelle distanze che lei accorciava in maniera sempre maggiore.
«Sabato sera fanno un po’ di piano-bar. Ci andiamo insieme, ti va?»
«Veramente, pensavo di starmene un po’ tranquillo a casa. In questo periodo sono piuttosto stanco e preferirei…»
«Stanco? A diciott’anni sei già stanco? E a quaranta? Cosa farai quando ne avrai quaranta?»
Non risposi.
«A me farebbe piacere andarci con te, ma se non vuoi venirci…»
«Non so. Ne riparliamo sabato pomeriggio, eh?»
Il suo viso si distese. La settimana passò abbastanza velocemente, tra un compito in classe e una interrogazione.
«Allora? Per stasera?»
«Boh? Non so proprio.»
«Devo decidere io per tutti e due? Guarda che se tentenni ancora un po’ lo faccio!»
«Va bene. Ti accompagno. Però veniamo a casa piuttosto presto, ok?»
«D’accordo. Per me non ci sono problemi. Tanto più che domani mattina dovrò alzarmi presto per studiare. Lunedì avrò l’esonero di Geometria e non sarà sicuramente una passeggiata come quello di Algebra. Ti passo a prendere per le sette, va bene?»
«Le sette? Ma? A che ora comincia, scusa?»
«Verso le dieci, ma pensavo che si potesse andare a mangiare una pizza.»
Riusciva sempre a stupirmi.
«Vada anche per la pizza. Alle sette, allora.»
Ci salutammo. Dieci minuti dopo ero da Elena. Il freddo era pungente e mi lasciava presagire che l’orchidea che le avevo portato sarebbe durata ben poco. Non m’importava. Quell’orchidea aveva un ben preciso significato, per me. Specie in quel giorno, il quattordici di febbraio. La cenere della sigaretta cadde sul marmo. Mi abbassai, in equilibrio con le ginocchia piegate, per toglierla. Presi una manciata di neve e la passai su tutta la superficie della tomba, completando poi l’opera con i guanti di lana. Restai per una buona mezz’ora, pensando a ciò che non era stato, poi mi allontanai senza fretta.
«Auguri, Elena!», pensai tra me e me. Cominciò nuovamente, lentamente, a nevicare. Il pomeriggio passò velocemente, nonostante il mio stato d’animo. Mara arrivò con dieci minuti d’anticipo. Come al solito, però, partimmo con dieci di ritardo. Come al solito, per colpa mia.
«Stasera ti porterò a mangiare la pizza più buona della zona! Ci sarà da viaggiare un po’, ma ti garantisco che ne vale proprio la pena!»
«Dove hai intenzione di andare, scusa?»
«Ad essere sincera, il nome del paese non me lo ricordo proprio, però so come arrivarci! Ci sono andata un giorno a pranzo con le mie compagne d’università! Le conosci anche tu: Elisabetta e Viviana.»
«Ah, sì! Quelle due pazze coi capelli colorati.»
«Ma dai! Solo perché si sono fatte la tinta rosso fiamma dovrebbero essere pazze?»
«No! Non per quello. È solo che non mi sembrano molto normali, ecco. Un po’ troppo agitate, per i miei gusti.»
«Beh, allora, visto che sono sempre con loro, dovrei essere pazza anche io!»
«Io non ho mai affermato il contrario.»
«Ah!. Grazie, eh! Avevo una mezza intenzione di offrirti la pizza, ma mi sa che toccherà a te pagare, per farti perdonare!»
Sorrideva, sempre guardando la strada.
«Dimmi almeno che strada dobbiamo fare.»
«Mi ricordo che era piena di curve. Si dovrebbe svoltare a destra tra poco, poi si sale in collina per una quindicina di chilometri. È un posto un po’ scomodo da raggiungere!»
«Ma sei sicura che ce la facciamo? È da quasi cinque ore che nevica di nuovo e mi sembra che Bonnie non sia molto amica della neve.»
«Non ti preoccupare! Bonnie è come la sua proprietaria! Non teme neppure le imprese impossibili!»
Viaggiammo per poco più di cinque chilometri in piano, poi iniziò la parte di strada in salita.
«Ecco! Lo sapevo! Le gomme cominciano a slittare!»
L’auto prese a scivolare sulla neve.
«Coraggio, bella! Facciamo vedere a questo miscredente che non abbiamo paura di niente!»
Non ci fu verso. La strada non era ancora stata pulita dagli spartineve e la povera Due Cavalli si arrese dopo qualche minuto. O, meglio, Mara si arrese.
«Miscredente, eh? E adesso?»
«Beh, adesso faccio una bella inversione e ce ne andiamo in città. Arriveremo in pizzeria dopo le otto, ma almeno mangeremo qualcosa!»
«Guarda che è pericoloso fare un’inversione in questo punto! Non ci sono i guard-rail e subito sul ciglio della strada c’è un fosso abbastanza profondo.»
«Lascia fare a me, uomo di poca fede!»
Come previsto, la ruota posteriore destra scivolò quasi interamente dalla strada.
«Ecco qua! Adesso voglio proprio vederti. Come pensi di tirarci fuori da questa situazione?»
«Un’idea ce l’avrei. Sempre che tu non ti arrabbi!»
«Mi sa che ho già capito! Vuoi che scenda a spingere per cercare di risollevare la ruota, eh? »
«Beh, sì! L’idea era proprio quella!»
«Giuro che questa è l’ultima volta che mi lascio convincere ad uscire con te!»
Scesi sbattendo la portiera. La nevicata si era fatta molto più intensa. Ai bordi della strada, poi, nemmeno un lampione. Provai a spingere l’auto puntando i piedi contro il bordo opposto del fosso, ma le gomme non riuscivano a fare presa. Fui investito dagli schizzi di neve fradicia e sporca. Provando ad assumere un’altra posizione, per fare più forza, inciampai in qualcosa. Raccolsi da terra ciò che aveva attentato al mio equilibrio e lo mostrai a Mara.
«Cosa vuoi farci con quell’asse?»
«Sono piuttosto indeciso tra picchiarti e provare ad usarlo per toglierci da questo pasticcio!»
«Spero veramente che tu lo impieghi per fare la seconda cosa che hai detto!»
«Posso garantirti che sono fortemente tentato di… vabbè, va! Lasciamo perdere, se no litighiamo!»
Mi avvicinai di nuovo alla ruota incriminata. Provai ad infilarle sotto il pezzo di legno, ma non riuscii a fare sufficientemente forza. Scivolai con il piede destro nel fosso. L’acqua che lo riempiva, fortunatamente, era ghiacciata. Mentre Mara continuava a spingere sull’acceleratore, provai lentamente a ripetere l’operazione. La macchina, centimetro dopo centimetro, cominciò la sua lenta risalita, fino a ritrovarsi nuovamente in posizione di marcia. Scese piuttosto avvilita. «Scusami! Ho rovinato tutto anche stasera! Avrei dovuto darti retta! Guarda come ti ho fatto conciare! Tua madre, come minimo, mi uccide!»
«Sono bagnato fradicio.»
«Scusami! Veramente! Sono mortificata! Non so proprio…»
«Io so solo che sto morendo di freddo. Riportami a casa, va.»
«Certo! Non voglio che tu ti prenda un accidente a causa mia! Sali in macchina, svelto! Il riscaldamento è già al massimo!»
Mi sedetti stringendomi la giacca a vento sullo stomaco. In silenzio.
«Sei arrabbiato?»
Non risposi.
«Scusami, davvero! Giuro che non volevo che la serata finisse in questo modo! Avevo organizzato tutto perché potesse essere serena, tranquilla, passata tra una buona cena e dell’ottima musica. Non…»
«È inutile parlare, adesso. Le cose sono andate così e tutti i tuoi buoni propositi si sono scontrati con la dura realtà.»
La apostrofai come al solito a muso duro, facendola avvilire ancora di più.
«Aspetta un momento!»
Fermò la macchina in mezzo alla strada e scese di scatto. Aprì la portiera posteriore e si inginocchiò sul sedile, con il busto proteso nel bagagliaio.
«Tieni! Prendi questa coperta. La porto sempre dietro per qualunque evenienza.»
Me la offrì con uno sguardo dolce, sincero.
«Ti prego! Perdonami! Ah, dimenticavo la cosa più importante! Grazie! Se non ci fossi stato tu, avrei rischiato di starmene lì tutta la notte! Non passa mai un’anima, da queste parti! Sei stato veramente gentile a ridurti in questo stato pur di aiutarmi! Mi fai sentire veramente infima!»
«Guarda che ci tenevo anche io a non passare la notte all’addiaccio! Almeno siamo riusciti a schiodarci di là e a metterci in marcia verso casa. Questa, comunque, è l’ultima volta che mi lascio convincere a…»
«Non dirlo, ti prego! Dammi ancora un’opportunità! Per farmi perdonare. Non dico stasera, né domani. Magari sabato prossimo! Giuro che andrà tutto perfettamente. Non potrai lamentarti di nulla! Che ne dici?»
Non le risposi. Girai lo sguardo verso il finestrino. Il giorno seguente non mi cercò. Nonostante il cielo non concedesse neppure un attimo di tregua, mi incamminai di primo pomeriggio per andare al cimitero. Stava nevicando ormai da ventiquattr’ore. Nonostante lo spartineve fosse passato più volte, la situazione delle strade era piuttosto precaria. In alcuni punti, poi, si erano formate delle autentiche lastre di ghiaccio che attentarono, in un paio di occasioni, alla mia incolumità. I sentieri in ghiaia del camposanto erano coperti da più di mezzo metro di neve, ma la cosa mi lasciò del tutto indifferente. Mi feci strada, sebbene a fatica, fino a lei. Paola e Mauro non erano ancora passati. Cominciai a togliere, aiutandomi con una scopa che avevo trovato vicino ad una cappella, tutta quella coltre bianca che copriva la sua foto. Passai più di mezz’ora a ramazzare e ripulire tutto intorno. Invano. La neve che era caduta nel frattempo aveva già creato uno strato di un paio di centimetri sul marmo. Dapprima mi inginocchiai più o meno a metà della tomba, poi, colto da uno dei miei abituali momenti di sconforto, mi lasciai andare e mi coricai, la faccia rivolta verso la sua foto. Avevo freddo. Dentro, però. Non mi importava nulla della neve, del vento pungente, dei miei vestiti, fradici ancor di più rispetto alla sera precedente. No. Non mi importava più di nulla. Ero già stato male parecchie volte, dopo la fine delle cure psichiatriche, ma mai in quel modo. Avrei voluto lasciarmi morire lì, vicino a lei. Forse sarebbe stato meglio per tutti se non mi fossi rialzato, come risvegliato dal rumore di un paio di doposcì che affondavano nella neve a pochi metri da me. Era Andrea.
«Ciao, Dario. La zia mi ha detto che eri venuto qui e così… ho pensato di raggiungerti. Ti disturbo?»
Non faceva più caso alle mie stranezze. Non mi chiese neppure perché fossi lì in ginocchio. Mi aiutò a rialzarmi. Con un paio di manate ben assestate, poi, mi ripulì i vestiti dalla neve.
«Vieni via con me! Ti prenderai un malanno, restando qui in queste condizioni.»
Non gli diedi risposta, ma mi lasciai condurre verso casa. Il suo timore, poi, si rivelò perfettamente fondato. Quella sera stessa, infatti, mi ritrovai a letto con quasi quaranta di febbre e un mal di testa terrificante. Non mi lamentavo mai, nemmeno quando stavo veramente male, ma quella volta fu diverso. Delirai per tutta la notte, farfugliando frasi incomprensibili ogni qual volta mia madre si avvicinava al mio letto. Verso le quattro del mattino, poi, vedendo che la temperatura non voleva saperne di abbassarsi, anzi, era aumentata ancora, chiamò la guardia medica. Mi risvegliai verso le sei del pomeriggio dopo.

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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