Ancora qualche riga da “Storia di V.”
L’inizio
Il mio lavoro mi ha portato, negli anni seguenti alla laurea, a viaggiare per tutto il mondo. Certo, ho una base qui, nello Stato nel quale vivo, dove vivono mia moglie e i miei figli e dove riposo le mie stanche membra tra un viaggio e un altro, ma sono un vero e proprio cittadino del mondo.
Un vampiro serial killer cittadino del mondo. Mi piace questa definizione. E mi piace combinare l’utile col dilettevole. Il lavoro col mio passatempo preferito. La cura dei miei affari e la cura del mio spirito.
Europa, America, Africa, Australia, Asia: sono stato un po’ ovunque. Ho basi, un po’ ovunque. Ho visti di una cinquantina di Paesi sul passaporto. Ho una vittima in almeno venticinque Paesi. Ho privilegiato la mia Patria, questo sì. Anche perché, le prime volte, dovevo agire in situazione di massimo vantaggio, conoscendo bene i luoghi, le persone, le modalità d’indagine.
In questo mio percorso ho capito una cosa. Quando un’inibizione viene meno una volta, non la si recupera più. Devo ammettere che è successo anche a me.
Poi, l’occasione che fa l’uomo ladro. L’omicidio di quell’estate. La certezza, dopo le indagini, che ad azione non corrisponde reazione punitiva. Il secondo episodio, non voluto, ma con lo stesso risultato del primo. Di nuovo, nessuna punizione. Nemmeno un dubbio, su di me.
La mia rinascita fu, di fatto, l’inizio di un percorso di autoformazione, oserei dire. Come in tutto ciò che ho affrontato nella mia vita, un continuo miglioramento nello studio, nella realizzazione e nella sensazione di godimento provata a ogni, singolo, lavoro – passatemi il termine – portato a conclusione.
Era un giorno di giugno di tredici anni fa. Ero, più per caso che per volontà, in una pausa di viaggio, reduce da tre settimane negli Stati Uniti e quasi pronto per quattordici giorni in Cina. Due settimane con la famiglia non mi sono capitate spesso, quindi ho cercato di approfittarne. Brevi gite, pomeriggi in piscina, qualche passeggiata al parco.
Il parco. Un’altalena. Una bambina. Un signore di mezza età su una panchina che la guardava. Osservava ogni singolo movimento. La gonnellina che si alzava, spostata dal vento, faceva sì che sgranasse gli occhi. Lo fissai per qualche minuto. “Che schifo!”, pensai tra me e me.
Quella sera, a cena, fui particolarmente silenzioso. Se ne accorsero anche i bambini, che a più riprese mi chiesero, come mia moglie, cosa avessi. «Niente, state tranquilli! Sono solo un po’ stanco e tra pochi giorni devo ripartire…»
«Domani andiamo in piscina, papà?» – chiese la mia piccola, la terza figlia. «Domani papà non può, tesoro… Deve svolgere un lavoro urgente…»
Mia moglie mi guardò con aria interrogativa, ma non più di tanto. Era assolutamente abituata ai miei impegni, ai cambiamenti repentini di programma, alla possibilità che tutto quanto fosse pianificato da mesi, andasse a monte in quattro e quattr’otto. «Vi ci porto io! Domani esco da lavoro alla mezza, vengo a casa e andiamo in piscina» – disse, girandosi verso i bambini. Le sorrisi.
Continuammo la cena in tranquillità, la televisione spenta, come sempre.
Una volta sparecchiata la tavola, dissi a mia moglie che sarei uscito un’oretta, per recarmi nel nostro casotto di campagna a controllare cosa mancasse per ultimare alcuni lavori, dato che nel giro di pochi giorni sarebbero venuti i muratori a completare almeno una delle due camere. Ci salutammo con un bacio ed uscii senza farmi vedere dai bambini, per non scatenare le solite sequenze di “perché” proprie delle loro età.
Tornai, effettivamente, in meno di un’ora. Mi ero mosso con la vecchia giardinetta, quella che usavamo per trasportare attrezzi, piante e quant’altro di sporco si potesse immaginare. Da tempo, vi giacevano teloni di nylon spesso, di quelli da serra. Li avevo comprati su indicazione dei muratori, che poi non li avevano utilizzati. Poco male. Tutto torna utile, prima o poi, nella vita. Proprio tutto.
Al casotto me la sbrigai velocemente. Era posizionato all’interno di un pezzo di boschetto, cresciuto in maniera spontanea, circondato da una recinzione robusta e predisposta per essere elettrificata. Non senza difficoltà ero riuscito ad acquisire un pezzo di bosco, sufficientemente distante da qualsiasi abitazione, all’interno del quale stavamo facendo costruire questo casotto, al fine di passarci la notte nel periodo della nascita dei funghi, l’altro mio passatempo preferito. Raggiungibile solo da un sentiero privato, chiuso da una barra meccanica, era luogo ideale per stare tranquilli, senza alcun tipo di interferenza dall’esterno. In cinque anni da che lo avevo acquistato, avrò scorto da quelle parti si è no cinque persone, capitatevi per caso.
Utilizzai solo una parte dei teloni, che disposi in maniera da coprire pavimento, per altro ancora da piastrellare, e muri, al momento, di mattone vivo. Lasciai lì una vanga e una zappa e, nel giro di dieci minuti, ripresi la strada verso casa.
Rientrai che i bambini erano a dormire, mentre mia moglie si era accovacciata sul divano, a guardare un po’ di televisione. Si alzò e mi seguì con lo sguardo, mentre mi avvicinavo a lei.
«Non mi avevi detto di domani… Che è successo?» – domandò con reale interesse. «Nulla di particolare. Ho tre o quattro cose da sbrigare per l’azienda, poi vorrei andare ad acquistare quel che serve per il casotto. Anche se, in realtà, dubito che i muratori vengano a breve. Loro me l’hanno giurato, ma… Non mi fido… Ci hanno già tirato il pacco un bel po’ di volte…»
«Capito… Ma al mattino riesci a stare coi bambini?»
«Certo! Sto con loro, vi preparo il pranzo al sacco e, quando rientri, ti faccio trovare tutto per andare in piscina…»
«Grazie… Sinceramente, mi fa piacere avere mezza giornata libera, da passare con loro…» – chiosò.
Mi diede un bacio e si diresse verso la camera da letto. Io mi sedetti sul divano e cominciai il mio solito zapping. Finii su un canale della tv belga, che presentava un memoriale sul mostro di Marcinelle. Ebbi un moto di ribrezzo. Dal profondo.
© Roberto Grenna – Riproduzione vietata