Ecco qualche altra pagina del romanzo “Il fiume”, che è acquistabile qui. Buona lettura!
«Tra poco ci saranno le vacanze di Pasqua. Che progetti hai?»
«Nessun progetto. Non ho intenzione di andare da nessuna parte. Non…»
«Aspetta! Non dire altro. Avevo pensato di passare il Lunedì dell’Angelo al lago e mi chiedevo se… ecco, mi farebbe piacere se tu venissi con me.»
«Non ho una gran voglia di andare in giro. E poi, la settimana dopo avrò quattro tra verifiche e interrogazioni. Meglio di no.»
«Beh, puoi anche studiare gli altri quattro giorni. Comunque sia, se non ti va, fa niente. Vorrà dire che mi aggregherò a Viviana e ad Elisabetta. Andranno al mare con la loro compagnia. A parte loro due, non conosco nessuno.»
Non insistette, anche se il suo viso cambiò espressione.
«Va beh, senti, ci penso e ti dico qualcosa domani. Va bene?»
Gli occhi rivelarono tutto il suo stupore.
«Va bene! Non ritenerti obbligato, però!»
Ogni volta che questi flash mi passano per la testa mi sento, se possibile, un po’ più carogna. So che ormai non serve a nulla stare male, ma… non so. Mi invade una rabbia indescrivibile. Una rabbia che, fortunatamente, presto sfogherò. Partimmo di buon’ora, quella mattina.
«Per evitare il traffico», disse.
Volle andare a tutti i costi con Bonnie: «Io ti ho invitato, io ti ci porto! E poi, ho appena fatto mettere lo stereo e è venuto il momento di vedere come si comporta!»
L’accese.
«Per favore, prendi quel portacassette che c’è sul sedile dietro. Mi sono portata dietro tutti i nastri più belli. Per rendere un po’ più piacevole il viaggio!»
Mi voltai e lo presi.
«Guarda se c’è qualcosa che ti piace. Dovrebbe esserci un po’ di tutto!»
Era vero. Si passava da Alice Cooper ai Def Leppard, a Ligabue, ai Litfiba, ma anche a Tozzi. Lessi con calma i titoli. Mi ritrovai rituffato in un altro viaggio, in pullman, verso un’altra meta.
«Dario! Ehi, Dario! Che c’è? Non ti senti bene?»
«No, no. Stavo solo pensando.»
«Hai una faccia! È successo qualcosa?»
«Ti ho detto di no! Tu pensa a guidare.»
Quel flash mi aveva portato in un’altra dimensione all’interno dei miei pensieri. È brutto vivere di ricordi. Ancor peggio è farsi guidare dai ricordi nelle scelte. Decisi per Ligabue. Mara aveva registrato i primi due album.
«L’ho finita ieri sera. So che ti piace e ho voluto farti questa cassetta. Dopo la gita puoi anche tenerla.»
Era il suo ringraziamento, il suo modo per farmi capire quanto le avesse fatto piacere la mia decisione di accompagnarla, di passare quella giornata con lei. Il viaggio, date anche le limitate possibilità del mezzo a disposizione, durò poco meno di tre ore, compresa una pausa di circa un quarto d’ora in un autogrill.
«Cosa prendi?»
«Niente.»
«Non se ne parla nemmeno! Cappuccino e brioche per tutti e due. Ci sarà parecchio da camminare, oggi, e ti voglio in forma!»
Sorrideva. Andò alla cassa e pagò due cappuccini e due brioche. Come al solito, non la ringraziai. Ebbi anche in quell’ambiente una spiacevole sensazione di deja vu, di esperienza già vissuta. Non so. Erano tutti input che non avrei dovuto subire, anzi, che mi avrebbero dovuto aiutare a reagire. Non lo fecero. Non lo feci. La giornata, come Mara mi aveva anticipato, fu molto faticosa. Mi fece camminare per una decina di chilometri nei boschi che costeggiavano il lago, concedendomi solo una pausa di una mezz’ora per un pranzo veloce. Arrivammo a casa ben oltre le dieci, dopo un viaggio di ritorno che, data la scomodità del mezzo, aveva aggiunto stanchezza alla stanchezza. Stranamente, sulla strada del ritorno parlò poco anche lei. Mi accompagnò fin davanti alla porta, accomiatandosi con un «Grazie!» e un abbraccio, dal quale non mi ritrassi. Non contraccambiai, ma neppure mi negai a quel suo gesto. Fu il preludio di ciò che avvenne il sabato successivo. Sento il vento fischiare, fuori. Forse sta arrivando un temporale. Normale, in questa stagione. Spero soltanto che non faccia mancare la corrente elettrica. Non ci vorrebbe proprio. Uscimmo presto, quel giorno.
«Mi accompagneresti dal meccanico? Devo andare a ritirare la mia povera Bonnie.»
Non avevo neppure ancora la patente. Solo il foglio rosa firmato.
«Non temere: se ci dovessero fermare e ti facessero la multa la pagherei io!»
Non replicai. Non avevo, allora come adesso, quella che si possa definire una “guida dolce”, anzi! Non c’è stato cambio di marcia, in vita mia, sul quale non abbia strappato. L’unica che non abbia mai messo in discussione il mio modo di guidare è stata Mara. Solo qualche sporadico consiglio. Mai un rimprovero. In quegli otto mesi, da quando mi aveva conosciuto, era cambiata, cresciuta, forse, molto. Aveva concentrato la sua vita sull’università e… su di me. Proprio vere, le parole di Teorema. “Prendi una donna / trattala male / lascia che ti aspetti per ore / Non farti vivo e quando la chiami / fallo come fosse un favore / Fa’ sentire che è poco importante / Dosa bene amore e crudeltà / Cerca di essere un tenero amante / ma fuori dal letto nessuna pietà / Allora sì vedrai che t’amerà / Chi è meno amato più amore ti dà / Allora sì vedrai che t’amerà / Chi meno ama è più forte si sa…”
Avevo sempre cercato di evitarla, di fare in modo che non mi stesse troppo intorno. L’avevo sempre trattata freddamente, con cattiveria. L’avevo persino umiliata, talvolta, imponendole una mia superiorità inesistente, nata dalla sua volontaria sottomissione al mio umore. Non avevo mai pensato a lei come ad una donna, una giovane e bella donna. O, meglio, probabilmente era stato solo un pensiero inconscio. L’avevo anche subita, da un certo punto di vista. Per me erano stati otto mesi da “sorvegliato speciale”, otto mesi che avevano cambiato le mie abitudini. Lei era maturata. Io no. Recuperata Bonnie, volle a tutti i costi che io portassi l’auto di mio padre a casa. La cosa, tutto sommato, non mi dispiacque.
«Pizza?»
«Come vuoi. Io non ho preferenze. L’importante è che possa essere a casa presto. Sono stanco e non ho per niente voglia di stare in giro.»
Uscimmo dalla pizzeria quando il grosso della gente stava arrivando.
«Ti va una passeggiata? Tanto per prendere un po’ d’aria fresca.»
Non notai subito che il suo tono di voce non era il solito.
«Veramente…»
«Ti prometto che dopo, se lo vorrai, ti accompagnerò a casa. Ok?»
Non risposi. A non più di cento metri dalla pizzeria si apriva un largo viale. La strada, sterrata, non recava quasi traccia di pozzanghere. Le imponenti piante avevano fatto da scudo nei confronti della pioggia del giorno prima. Passeggiammo, in silenzio, lasciando alle nostre spalle il tramonto.
«Cosa c’è?»
Si era fermata improvvisamente.
«Ecco, vedi, non è per niente facile!»
«Che cosa?»
«Eh, trovare le parole giuste.»
«Non capisco.»
Non era una bugia. Il suo comportamento, così diverso dal solito, mi aveva spiazzato. La sua ritrosia, quella vergogna che stava mostrando. Non sembrava neppure lei. Ho pensato molto a quella sera, negli ultimi giorni. Ho paragonato tante volte quei momenti ad altri, precedenti. Sembra assurdo, ma mi rivedo in lei, in quel suo atteggiamento titubante, in quel suo non trovare le parole. Lei era diventata Dario, quel Dario che, anni prima, aveva vissuto gli stessi dilemmi.
«Beh, ecco, in teoria dovrei dirti una cosa, ma… non trovo le parole! O forse, il coraggio!»
«Se intendi continuare a parlare per indovinelli tutta la sera, ti avviso che non ho voglia di…»
Non potei terminare la frase. E non perché mi fossero mancate le parole. Mi aveva zittito con le sue labbra. Quella fu la differenza. Lei ebbe il coraggio di fare ciò che io avevo soltanto osato pensare. Ciò che in gita io, Mara della situazione, avevo considerato essere un gesto avventato. Un cambiamento. Anzi, il cambiamento. Quell’episodio avrebbe potuto, soprattutto dovuto, essere la svolta della mia vita. Fu, purtroppo per lei, la svolta della sua. Mi riaccompagnò a casa senza dire una parola, ma voltandosi spesso verso di me. Dal canto mio, mantenni lo sguardo fisso sulla strada. Non dissi nulla. Forse nemmeno pensai a nulla. Il mio errore fu proprio quello di accettare passivamente quella situazione. Per il comportamento che avevo sempre tenuto nei suoi confronti avrei dovuto sottrarmi a quel suo gesto, ribellarmi, in un certo senso, a quella sua invasione, molto più pesante delle precedenti, della mia vita. Subii, se così si può dire, in silenzio. Fu proprio quel silenzio a darle coraggio e convinzione. Dormii molto male, quella notte. Un sonno agitato, senza sogni. Spesso mi ritrovai con gli occhi spalancati a fissare il buio. Dalle cinque del mattino in avanti, poi, non ci fu verso di riaddormentarsi. Fu allora che feci ciò che non avevo fatto la sera precedente: pensai. Pensai a ciò che era accaduto, ma non solo. Pensai a tanti piccoli episodi degli ultimi mesi che avrebbero dovuto “mettermi in guardia” e… a tanti avvenimenti di un passato più remoto. Non ricordo la sequenza completa dei miei pensieri, ma la conclusione alla quale giunsi è ben scolpita nei miei ricordi.
© Roberto Grenna – Riproduzione vietata