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Ancora qualche riga da “Storia di V.”

L’inizio (continua)

Poi, quand’era solo più una maschera di sangue, presi il suo testicolo destro in una mano e, con l’altra, glielo asportai con un taglio netto. Svenne quasi all’istante. Ripetei l’operazione al testicolo sinistro, passando poi al pene. Il suo torace non si muoveva quasi più.
Raccolsi, dopo aver infilato la punta del coltello tra due costole, un vasetto pieno del suo sangue, al quale aggiunsi dell’anticoagulante. Non volevo che si rovinasse, mentre continuavo con lui.
Gli aprii la bocca e vi infilai ciò che avevo appena reciso dal suo corpo. Provai una certa soddisfazione, nel farlo.
Uscii dal casotto e mi diressi verso il retro, dove c’era un vecchio pozzo, ormai asciutto, che era stato utilizzato durante la guerra. Ne scostai il coperchio, una pietra da più di mezzo quintale, lasciando circa metà dell’imbocco alla luce. Guardai verso il basso, per capire se potesse fare al caso mio. Mi lasciò perplesso. Molto perplesso.
Rientrai e vidi che il mio “amico” aveva perso molto sangue, tutto raccolto all’interno del telone di nylon. Non seppi resistere e ne presi un po’, con le mani raccolte a coppa. Bevvi, con calma. Nessuno avrebbe potuto disturbarmi.
Successivamente, presi i sali, glieli passai sotto il naso. Ebbe un movimento del capo. Non aspettai che rinvenisse, anche perché era probabile che non riuscisse. Gli piantai la lama subito sotto lo sterno con violenza, estraendola subito dopo. Il sangue fiottò, ancora copioso, per smettere pochi secondi dopo. Ne bevvi un altro sorso.
Era morto.
Era la prima vittima del mio piano.
Capii che, come avevo elaborato a lungo, non sarebbe stata l’ultima. Lo capii dal piacere e dalla soddisfazione provati nel vederlo soffrire, nel vederlo farsela addosso, nel vedere i suoi occhi iniettati di sangue e gonfi di lacrime. E sentivo nell’animo le vocine di quei diciotto bambini che dicevano, chi prima, chi dopo, «Grazie! Grazie!».
Li avevo vendicati. Avevo lavato la loro vergogna. Il bastardo che li aveva violati non esisteva più…
Soprattutto, avevo saziato la mia sete di sangue, per lo meno per quella sera.
Mentre pensavo a queste cose, scaricai dalla macchina due taniche di acido. C’era un vecchio fusto di metallo, di quelli che si vedono, in autunno, trasformati in stufe per le caldarroste, che avevo già portato in un angolo della stanza dove avevo compiuto il mio sacrificio. Era il mio piano B. All’interno del bidone versai un po’ d’acido. Vidi che non ci fu reazione di corrosione, quindi continuai a versare il resto, per quella tanica. Con il coltello tagliai le corde che mantenevano il cadavere legato all’ara sacrificale – così vedevo quel tavolaccio, lo svestii completamente e me lo caricai in spalla, portandolo fino al bidone. Ve lo infilai e cominciai a spingerlo dentro l’acido. Godendomi quello che mi sembrò uno sfrigolio… Versai l’intero contenuto dell’altra tanica, cercando di non lasciare il viso sul fusto, arrivando a coprire quasi completamente il corpo. Rimaneva fuori un pezzo di faccia, ma non era un problema. Mano a mano che le carni si fossero sciolte, sarebbe scivolato verso il basso.
Il pozzo non poteva essere utilizzato, sotterrare il bidone sarebbe stato un problema, nonostante avessi gli attrezzi per farlo, quindi cominciai a ragionare su come avrei potuto far sparire ciò che sarebbe avanzato, sostanzialmente, un mucchietto d’ossa e un po’ di grasso.
Mentre cercavo di ragionare con calma, presi i vestiti dell’uomo. Mi lavai le mani nel lavatoio in pietra levigata presente all’esterno, mi spogliai completamente e vi aggiunsi i miei, indossando il cambio che mi ero portato dietro. Radunai tutti gli abiti al centro del circolo di pietre che veniva utilizzato per accendere il fuoco, quando era utile per i lavori, li cosparsi di benzina e li incendiai. Bruciavano producendo un fumo acre e scuro. Fortunatamente, non c’era vento. Le piante, poi, avrebbero impedito la propagazione di quella colonna scura.
Tornai nel casotto. Ragionai su come far sparire i teloni pieni di sangue, che nel frattempo cominciava a seccarsi. Non ebbi molte idee, quindi decisi di staccarli dai fissaggi ai quali li avevo ancorati, ripiegarli, facendo attenzione a non far scorrere a terra il sangue, per poi metterli, arrotolati, nel fusto, insieme al corpo. Mi ci volle una buona mezz’ora, per togliere tutte le prove della mia azione, ma riuscii a non lasciare tracce. Inserii i teloni dove avevo progettato, poi recuperai il coperchio del fusto. Mi era venuta un’idea.

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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