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Ecco il secondo capitolo del Libro I della tetralogia Quell’Oscuro Regno del Male tra Tanaro e Bormida. Buona lettura!

LIBRO I

STRANI SOGNI

Dopo il raid di acquisti nel supermercato gestito dal papà del suo amico Wang – già che c’era, s’era preso anche una cuffia stereo wireless nuova per sentire la musica di notte senza disturbare il vicinato – Giulio lavorò alla disposizione del suo studio fin verso le ventidue, per poi concentrarsi, come aveva promesso a Leo, sul progetto.

Verso le tre del mattino, quando le palpebre cominciarono a mostrare segni di cedimento, si decise ad andare a dormire, nonostante il lavoro non stesse andando nella maniera desiderata.

“Ci penserò domattina.”, pensò, puntando la sveglia del cellulare alle otto. In fondo, almeno cinque ore doveva dormirle.

Si coricò sul divano, le tapparelle della sala alzate a far entrare le luci del quartiere, con l’unica accortezza di un cuscino sotto la testa, crollando quasi subito in un sonno pesante.

«Non azzardarti!»

La figura che gli si parava davanti, dalle forme indefinite ma dallo sguardo severo ai limiti della cattiveria, lo indicava con quello che sembrava essere l’indice di una mano.

Impaurito, ma ancora reattivo, dopo un momento di smarrimento ribatté: «A fare cosa? Sto solo raccogliendo un gattino abbandonato!»

«Lascialo! Quello non è un gatto! È un mostro, sputato fuori dall’Inferno e giunto qui per cambiare l’ordine delle cose!»

L’iniziale timore si stava dissolvendo velocemente, lasciando spazio alla tipica sfrontatezza dei vent’anni ancora da compiere: «Chi? Questo gattino tigrato? Con gli occhietti ancora impastati dal muco?»

«Sì. Proprio lui. Non è un gatto. Te lo ripeto! Non raccoglierlo!»

Si svegliò. Non di soprassalto, come quando ci si sente cadere nel vuoto, ma con un moto nervoso di tutto il corpo e con le palpebre a scattare e a far sgranare gli occhi. La maglia pregna di sudore, i capelli bagnati, così come il cuscino. Guardò l’ora: le quattro e ventisette. Aveva riposato poco più di un’ora ed era già sveglio a causa di quello strano sogno.

“Meglio che vada a bere un bicchiere d’acqua e a cambiare maglia e cuscino!”, pensò mentre si alzava dal divano, diretto verso la cucina.

Ritornò dopo meno di un minuto con un lenzuolo, un asciugamano di spugna e un cuscino in mano, pronto a riprendere il suo sonno. Dispose il lenzuolo sul lato del divano sul quale si era coricato precedentemente, il cuscino in prossimità dello schienale e vi pose sopra l’asciugamano, di un verde intenso. Prima di coricarsi nuovamente, si avvicinò alla finestra e la aprì, percependo immediatamente un brivido dovuto all’aria – quasi fresca – che proveniva dall’esterno.

“Boh? Questo che mi parla dell’Inferno. A me che sono agnostico. E poi per cosa? Per un gattino impaurito trovato per strada… che sogno assurdo!” si disse, mentre chiudeva nuovamente gli occhi, cullato anche dal refolo d’aria proveniente dalla portafinestra.

Catalina gli si faceva incontro sorridendo, con qualcosa in mano che non riuscì a distinguere fino a quando non gli venne mostrata: «Una balestra giocattolo?»

L’anziana donna, senza proferir parola, annuì, i lineamenti del viso distesi. Pose tra le sue mani quel curioso oggetto, facendogli comprendere come, da quel momento in avanti, sarebbe stato suo.

«Ma io non so cosa farmene!»

Mentre pronunciava quella frase e le mani di Catalina lasciavano le sue, il gioco s’illuminò di luce propria e iniziò a crescere, a modificarsi nella sua essenza: dalla plastica al legno e al metallo; dalle dimensioni di un gingillo da bambino a quelle di un’arma da adulto.

«Ma… cosa sta succedendo? Catalina?»

Alzando gli occhi, non vide più la rassicurante figura dell’anziana e, quasi d’istinto, lasciò cadere la balestra, che produsse un tonfo sordo. All’improvviso, intorno, il nulla, il nero, un vuoto senza colori e rumori.

Di nuovo sveglio – erano le cinque e cinquantadue – si interrogò anche su quella visione onirica: “Curioso. Mi sveglio da un sogno strano e ne faccio immediatamente un altro ancora più strano.”

Guardò attraverso i vetri, senza alzarsi: albeggiava. Nel tentativo di riprendere il sonno, si girò sull’altro fianco e coprì gli occhi chiusi con l’avambraccio. Nonostante l’agitazione figlia di quei due incubi – li si poteva catalogare come tali – si riaddormentò.

La sua mente si lanciò in un nuovo delirio. Con lo sfondo costituito da un sole color rosso sangue a sorgere in un paesaggio collinare, di fronte agli occhi del protagonista si stagliava una altissima e robustissima quercia, attorno alla quale volavano, descrivendo cerchi ed ellissi, decine di uccelli gracidanti, del tutto simili a corvi e cornacchie, ma troppo distanti per avere la certezza che li fossero.

Alla base della pianta, all’interno di una enorme radice ingobbita – alta quasi due metri nella sua parte più esposta – faceva bella mostra di sé una sorta di trono, di scranno, completamente scavato in quel legno secolare e ornato da intarsi e intagli non identificabili da lontano. Mano a mano che si avvicinava, con passo dapprima svelto e poi più rallentato, a quel vegetale enorme e imponente, si facevano visibili ai suoi occhi dettagli raccapriccianti. Tutto intorno alla base della quercia si potevano scorgere teschi, ossa, vesti lacerate. In un angolo, un corpo in decomposizione era letteralmente ricoperto e quasi reso nuovamente vivo da decine di grossi uccelli neri, che ne stavano strappando le carni, al punto che già parecchia parte dello scheletro era visibile.

Improvvisamente, un forte vento fece oscillare i grandi rami, deviando anche le traiettorie dei volatili impegnati fino a quel momento a fungere da corona animata all’albero. Dal nulla, una voce rimbombante tuonò: «No! Non sei degno di appropinquarti!»

Si arrestò intimorito, guardandosi intorno. Dietro di lui, il buio più assoluto. Davanti, quella scena inquietante. Intorno a lui, nessun essere vivente, uccelli a parte.

Riprese a camminare con circospezione. Dopo pochi passi, con tono ancora più minaccioso, la stessa voce ordinò letteralmente: «Vattene! Vattene ora, o diventerai cibo per i corvi!»

Dopo quella minaccia, guardando verso l’orizzonte, scorse un brulicare, cui si associava un vociare concitato. Si voltò verso il buio, con l’intenzione di tornare indietro. Fu allora che si svegliò.

«Le sette… meglio che mi alzi, sennò chissà che altro sogno faccio!»

Muoveva la testa ora da una parte, ora dall’altra, nel tentativo di sgranchirsi il collo. Anche la seconda maglia era completamente zuppa di sudore e un senso d’inquietudine lo pervase.

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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