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Ecco qualche altra pagina del romanzo “Il fiume”, che è acquistabile qui. Buona lettura!

«E se anche così fosse?»
«Beh, direi che la cosa non sarebbe per nulla normale. Lasciarsi scivolare il tempo addosso come fai tu è tipico di chi non ha la forza di reagire alle avversità, di chi ne ha passate tante e non ne può più. Non di un ragazzo di diciott’anni e un pezzetto!»
«Tu non puoi capire.»
«Aiutami tu, allora. Io sono qui, a tua completa disposizione, in ogni momento della giornata. Come ti promisi l’autunno scorso, ricordi?»
Lo ricordo soprattutto ora. Si faceva sempre più acuta nei miei confronti, osservatrice molto attenta delle mie abitudini, delle mie desuetudini, dei miei scatti d’ira e dei miei momenti di depressione. Una sorta di psicologa personale. Non avrebbe avuto molta fortuna in quel campo. Si fidava troppo di me e di ciò che le dicevo. Quando poi si accorgeva che il mio umore stava repentinamente cambiando, interrompeva all’improvviso le sue domande e si metteva a parlare delle cose più futili, talvolta cercando di mitigare l’ambiente con qualche battuta spiritosa. Cercava di passare con me quanto più tempo le fosse possibile, dedicando agli amici, alle amiche, più che altro, solo le ore per lo studio. Era, a dir poco, una macchina da esami. Terminò quelli del primo anno grazie al primo appello della sessione autunnale, i primi giorni di settembre. Durante il mese di agosto, oltre a studiare, si dedicò alle ripetizioni.
«Sai Enrica, quella ragazzina che frequenta la seconda nel tuo stesso liceo?»
«Beh? Che cosa ha combinato?»
«Nulla di grave! È stata solamente rimandata di matematica. Sua madre, la settimana scorsa, ha parlato con mia nonna. Durante il discorso è uscito fuori che sono all’università e che studio, come dice sempre lei, per diventare professoressa. Per farla breve, ieri sera è venuta a cercarmi insieme alla figlia. Abbiamo parlato un po’ dei problemi che ha incontrato lungo l’anno e mi hanno chiesto se ho tempo di curare la sua preparazione per l’esame di riparazione, che sarà il quattro di settembre. Le ho detto che le avrei dato una risposta oggi. Sai, prima volevo chiedere a te cosa ne pensi!»
«E cosa vuoi che ne pensi? Fai come credi.»
«Il fatto è che dovrò dedicarle almeno un paio d’ore al giorno per rivedere il programma di tutto l’anno e… quelle ore non potrò passarle con te!»
A volte pareva quasi infantile, ma non la era. Aveva certi atteggiamenti solo con me. Con gli altri, pur mantenendo un comportamento molto cordiale e dimostrandosi sempre disponibile a dare una mano quando necessario, era estremamente decisa. Aveva una determinazione fuori dal normale, specie quando si trattava di studiare.
«L’unico modo che ho per poter sperare nell’inserimento in graduatoria in una posizione decente è uscire dall’università con centodieci. Meglio se con lode!»
Una notte, dopo avermi accompagnato a casa, riuscì a studiare per sei ore di fila, arrivando fino alle nove del mattino. Oddio, anche io mi difendevo, da questo punto di vista, ma lei era straordinariamente… forte. Ecco la parola giusta. Lo studio è solo un esempio. La sua forza permeava ogni giorno dalla nostra storia. Già! Adesso la sento “nostra”. Solo adesso. Non avevo quasi mai utilizzato quell’aggettivo, parlando con lei. “Mio”, “tuo”. “Nostro” molto raramente. Non volevo confondere le cose. La vita era la mia, le cose che facevo le facevo perché l’avevo deciso io, così come sua era la scelta di assecondarmi. Non le chiedevo mai nulla e pretendevo altrettanto da lei nei miei confronti. Se decidevo di andare con lei da qualche parte, avevo sicuramente i miei buoni motivi per farlo. Come la sera del suo compleanno. Mi aveva invitato da lei a mangiare tre giorni prima, durante il viaggio che dal cimitero dove erano sepolti i suoi genitori ci avrebbe riportati a casa.

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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