Ecco il terzo capitolo del Libro I della tetralogia Quell’Oscuro Regno del Male tra Tanaro e Bormida. Buona lettura!
LIBRO I
VENCESLAO
“Mi sa che ‘sta Jacuzzi casca a fagiolo…”
Entrando in bagno e vedendo la splendida vasca, sulla quale aveva ironizzato appena ventiquattr’ore prima, vi si avvicinò, aprendo il rubinetto e attendendo che l’acqua arrivasse alla temperatura desiderata.
Si portò in camera a recuperare l’accappatoio – e chissà in che valigia era finito – per tornare un paio di minuti dopo, pronto a godersi un buon bagno. Si immerse nell’acqua facendo aderire il collo al bordo alto e cercando sollievo con una sorta di massaggio, intervallato da stiramenti in avanti e all’indietro e da rotazioni nei due sensi, orario e antiorario, del capo. Accese le “bollicine” e chiuse gli occhi, tornando col pensiero alla notte appena trascorsa.
“E dire che ieri sera non ho mangiato pesante! Tre sogni così nel giro di quattro ore sono strani. Soprattutto perché non mi ricordo di averne mai fatti di simili in vita mia.”
Rifletteva, come sempre, in maniera logica, evitando di abbandonarsi a considerazioni irrazionali: “Magari mi sono solo stancato troppo ieri, portando su tutta quella roba. Però è curioso che sia capitato proprio durante la prima notte nella nuova casa. Boh?”
Si rilassò. Al punto che quel senso d’inquietudine provato fino a poco prima scomparve, lasciando spazio a una serenità prodromica al lavoro che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco.
Il bagno durò una mezz’ora. Indossato l’accappatoio e infilate le hawaiane, i capelli lunghi fradici, si portò di fronte al frigorifero, aprendolo e constatando il fatto che la colazione sarebbe stata una questione da sbrigare fuori: “Ecco, lo sapevo. Ho fatto la spesa, ma mi sono completamente dimenticato di prendere il latte, il caffè e un po’ di schifezze dolci. Sarà meglio che cominci a segnarmi quello che manca, così da organizzarmi…”
Non terminò la frase che aveva in testa perché un tonfo sordo – ma robusto – lo distrasse. Chiuse il frigo e si guardò intorno: tutto normale, non era caduto niente. Passò in corridoio. Anche lì, tutto sembrava a posto, come anche in bagno e in camera da letto. Lo studio era esattamente come l’aveva lasciato poche ore prima, così si portò in sala.
La portafinestra era spalancata e da fuori proveniva una corrente d’aria importante – per altro già calda nonostante l’ora.
«La bottiglia!», esclamò quando la vide sul parquet, «L’aria l’ha fatta cadere! Mi sa che i miei nervi sono ancora un po’ tesi…»
Raccolse il recipiente, si portò in camera da letto e in meno di due minuti fu pronto a uscire per andare al bar. Da quando aveva fatto crescere i capelli, li aveva sempre lasciati asciugare all’aria, estate o inverno che fosse. Nonostante un fisico imponente, un bel viso e un’intelligenza brillante, a causa del suo interesse per i computer e per l’informatica era sempre stato definito un nerd – probabilmente anche per colpa degli occhiali, grandi e con una montatura nera alla Clark Kent dei fumetti anni ’50.
Già, i fumetti: l’altra sua grande passione, al pari dell’informatica e dell’Orso Grigio. Li aveva sempre divorati, fin da quando aveva quattro anni – con loro aveva imparato a leggere ben prima di andare a scuola – e spendeva cifre importanti per acquistarne in quantità e di vari generi, prediligendo spesso autori italiani.
Chiusa la porta con due giri di chiave, scese letteralmente al galoppo le scale, rallentando in prossimità del pianerottolo del primo piano.
«Buon giorno, Giulio!», disse Catalina, intenta ad annaffiare la pianta posta nell’angolo di fianco alla porta d’ingresso del suo alloggio, «Dormito bene?»
Il ragazzo le sorrise, salutandola con altrettanto calore: «Buon giorno, Catalina! Diciamo che ho dormito poco.»
«E come mai?»
«Ho lavorato fino a tardi e poi ho avuto un sonno un po’ agitato. Ma sono pronto per una nuova giornata.»
«Oh, mi spiace che non abbia dormito bene! Qualche problema di salute?»
«No, no, niente di che. Qualche sogno strano! Sto scendendo a fare colazione. Ha bisogno di qualcosa?»
«No, caro, grazie mille! Più tardi vado a fare la spesa. Posso darti un consiglio?»
Giulio annuì, incuriosito.
«Non sottovalutare mai i sogni, il loro valore e il loro significato. Se non fossero importanti, non ci sarebbero tanti studi in proposito!»
Il ragazzo rimase perplesso, ascoltando quelle parole, ma decise di non replicare. Avrebbe meditato su quelle frasi davanti a una brioche e a un cappuccino: «Farò tesoro delle sue parole!», si limitò a dire, riprendendo la discesa verso il portone del condominio. Gli sembrò che la donna lo seguisse con gli occhi, nel suo muoversi dinoccolato, ma non diede peso alla cosa.
Si mosse a piedi – la giornata invitava a una passeggiata – e in meno di dieci minuti arrivò al bar che lui e i sui amici e soci frequentavano.
«Ciao, Giulio! Il solito?»
Dal bancone, Franco gli stava sorridendo.
«Sì, grazie!», disse ricambiando il sorriso.
La colazione durò sì e no cinque minuti. Salutato l’amico barista, Giulio prese un’altra traversa per tornare verso casa. In prossimità del cancello di una villetta gli parve di scorgere del movimento. Si avvicinò a passo lento, chinandosi e inclinando la testa verso destra per vedere meglio. Un miagolio quasi sottovoce lo fece bloccare e raddrizzare, sgranando gli occhi.
“Un gatto? UN GATTO? Stanotte ne sogno uno e adesso lo trovo qui, a cento metri da casa?”, pensò, mentre da un paio di passi di distanza guardava quell’indifesa creatura. Istintivamente, si girò di scatto per controllare che nessun essere indefinito gli intimasse di non raccoglierlo. Era solo, sulla via. Solo con quel miagolante esserino. Fece un passo verso di lui e il cucciolo, per nulla impaurito, gli si fece incontro, con passo malfermo. Lo prese in una mano – tanto era piccolo – e controllò l’eventuale presenza di collari o targhette: nulla.
“Sarà meglio che ti porti da un veterinario.”, pensò. In un paio di minuti raggiunse la macchina e, appoggiato il piccolo sul sedile del passeggero, si mosse alla volta della clinica veterinaria.
Dopo una mezz’ora d’attesa, altrettanto tempo fu necessario alla dottoressa per visitare l’animale.
«È un gattino appena svezzato. Di salute sta bene, a quel che vedo. Non ha pulci, anche se qualche parassita del pelo gli causa questa forfora. Bisogna capire se sia sverminato, ma non penso. Le lascio questo contenitore per le feci, così possiamo esaminarle e verificare se ci sia bisogno di qualcosa.»
Pagati venticinque euro, se ne uscì con il suo nuovo amico saldamente nella mano destra, quasi accoccolato.
«Adesso dobbiamo andare a comprarti il necessario per mangiare, dormire, tirare graffi. Non sono ancora andato a vivere da solo, che la famiglia già s’ingrandisce.», diceva, fissando le nere pupille del micino, che rispose con due miagolii modulati.
Un’ora dopo erano davanti al portone dell’alloggio. Girate due volte le chiavi nella toppa, Giulio appoggiò delicatamente a terra il suo nuovo compagno d’avventure, accogliendone i primi passi nel corridoio con un «Benvenuto a casa, Venceslao!»
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