Ecco qualche altra pagina del romanzo “Il fiume”, che è acquistabile qui. Buona lettura!
Si era schierata. Apertamente, ormai. Come darle torto? Credo che lei vedesse in Mara l’unica cura possibile per i miei mali. Era rimasta molto colpita da tutte le vicissitudini che aveva dovuto passare e da quel suo modo così positivo di accettarle, senza mai voltarsi indietro per recriminare. Durante alcune discussioni, molto comuni tra lei e me, ebbi modo di sospettare che si fosse affezionata molto più a lei che ad Elena. Da un lato, forse, la cosa poteva essere normale. Gli amici d’infanzia, i compagni di scuola o di giochi dei figli vengono visti quasi come presenze abituali, come parte integrante delle giornate. Le persone che i figli conoscono successivamente, quelle che entrano a far parte della loro vita in un ben preciso momento, delle quali si è sempre “fatto a meno”, in un certo senso, possono essere valutate in maniera più serena, possono essere conosciute attraverso i loro discorsi e le loro esperienze, non tramite l’abitudine. “Il nostro essere è il nostro passato. E solamente col passato è possibile giudicare le persone”
Inizialmente, forse, mia madre aveva seguito inconsciamente ciò che recita questo aforisma di Oscar Wilde, considerando Mara una ragazza estremamente sfortunata. Col passare del tempo, però, aveva perfettamente capito a quale tipo di persona si trovasse di fronte. Una ragazza forte, ma al contempo molto dolce, disponibile e matura, capace di considerare più bisognose rispetto a lei persone che avevano dovuto sopportare la centesima parte di ciò che aveva patito lei. Era veramente buona d’animo. Incapace non solo di fare il male, ma anche di pensarlo. Avrebbe potuto essere il mio paracadute di emergenza, in grado di accompagnarmi a terra senza troppi danni dopo una spaventosa caduta libera. Non ho voluto aprirlo, quel paracadute. Ogni momento che passa mi annichilisce sempre più, inchiodandomi alle mie responsabilità, facendomi capire d’aver vissuto in un mondo al contrario, nel quale non si agisce per il bene degli altri e di se stessi, ma ci si trascina attraverso le giornate. Un mondo nel quale ero io il Dio e il Demone, il bene e il male, nel quale solo io decidevo, fregandomene delle altrui esigenze, incapace di guardare al di là del mio naso, insensibile agli stimoli positivi. Stimoli di un altro mondo, che mi aveva respinto nel momento stesso in cui mi aveva privato di Elena, nel momento in cui non mi aveva dato la forza per salvarla. Ora c’è un altro mondo che mi ripudia. Il grave è che è l’unico che mi sia rimasto. Bevemmo un paio di bicchieri. Al contrario di me, lei non reggeva l’alcool e gli effetti si mostrarono subito. Ad ogni mia frase, una risata. Non era ubriaca, ma sicuramente ebbra. Ho provato anche io quella sensazione. Molte volte. Perché non si impadronisse di me, bevevo subito qualche altro bicchiere. Non volevo stare bene. Bevevo per stare male, per non essere cosciente del mio passato, non per ritrovarmi a ridere per ogni stupidaggine che venisse detta. Mi bastava perdere la nozione del tempo, distorcere i ricordi. Anche solo farmi venire mal di testa, per poi poter dormire d’un sonno profondo e privo di sogni. Chissà… forse avrei dovuto passare a qualcosa di più “forte”. Alcool e tabacco sono poco o niente. Forse la soluzione era un’altra. Per l’autodistruzione, intendo. Forse è stato meglio così. Avrei solo fatto stare peggio e per più tempo i miei genitori e i miei nonni, gli unici, insieme ad Andrea, a preoccuparsi ancora per me. Ancora prima di andare via si sono tanto raccomandati con me per le medicine.
«Mi raccomando! Già che non hai voluto venire con noi, cerca almeno di farti trovare un po’ più su quando torniamo. Ti telefoniamo, va bene?»
«Lasciate pure perdere le telefonate, intanto non rispondo.»
Detto, fatto.
«E cerca di dormire un po’!»
Adesso avrei proprio bisogno di una dormita di un paio d’ore almeno. Il fatto è che non so quanto mi resti a disposizione. Magari una doccia gelata potrebbe svegliarmi un po’. O, forse… beh, per una volta ho avuto una buona idea. Mettere la testa sotto l’acqua fresca mi ha tonificato un po’. Senza contare che i capelli ne hanno trattenuta una discreta quantità. Spero di non avere altre crisi di sonno. Se dovesse accadere, comunque, la soluzione è pronta. L’acqua fredda fu anche la cura per l’ebbrezza di Mara di quella sera. Insieme al solito, immancabile, caffè bollente e molto carico.
© Roberto Grenna – Riproduzione vietata