Ecco qualche altra pagina del romanzo “Il fiume”, che è acquistabile qui. Buona lettura!
«Ho fatto la figura della scema, vero? Il fatto è che non pensavo di non reggere nemmeno un paio di bicchieri di vino! L’ultima volta non mi era successo niente!»
«Non ti preoccupare. È che non sei abituata. Figurati che la prima volta che ho assaggiato l’alcool mi è girata la testa per un bel po’.»
Già! Con la birra. Con Elena. Bevvi velocemente un altro bicchiere.
«Vedi? Adesso devo bere veramente tanto perché abbia effetto!»
Aveva uno sguardo ancora più intenso del solito.
«Dimmi una cosa: perché quella sera, in discoteca, ti se ubriacato? Mi hai fatto un’impressione!»
Si coricò sul divano dove ero seduto, poggiando la testa sul mio braccio, con il viso rivolto verso di me. Alzai lo sguardo verso il soffitto.
«Che c’è? Non ti va di rispondere? Non…»
«Il fatto che io mi sia ubriacato volontariamente, quella come tante altre volte, dovrebbe farti capire qualcosa di me, non trovi?»
Non me la sentii di risponderle male. Sembrava molto indifesa, in quel momento. Molto seria e molto indifesa.
«Sinceramente, non so cosa pensare. Io ho sempre odiato le persone che si ubriacano per noia, per spirito di competizione o per ‘divertirsi’. Non riesco a capirle. Non sono capace di comprendere quale divertimento ci sia a non essere padroni di se stessi, a non essere in grado di controllarsi, a stare male, soprattutto dopo! Un po’ ti conosco e mi sento di dire che non lo fai per nessuno dei motivi che ho elencato prima. È per questo che te l’ho chiesto.»
Mi erano passate davanti agli occhi decine di immagini del mio passato, ascoltando quelle parole.
«Hai ragione. Non lo faccio per nessuno dei motivi che hai detto. Lo faccio per dimenticare, per aprire le porte dell’oblio. Un oblio forzato, è vero, ma non per questo meno forte. Il brutto è che dura troppo poco!»
Lasciò passare qualche istante, forse per pesare meglio le mie parole.
«Non voglio sapere chi o cosa offuschi la tua felicità. Mi basterebbe essere in grado di regalarti qualche attimo di serenità!»
Si alzò leggermente e mi baciò. Aveva preso sempre lei l’iniziativa, fino a quel momento. Io mi limitavo ad accettare o meno le sue effusioni. Quella sua vicinanza, comunque, non aveva fatto altro che rendere sempre più forte, più determinata quella parte di me che non riuscivo a controllare. Era impossibile frenare gli impulsi che mi venivano da dentro. Lo scoprii quella sera stessa. Mi lasciai scivolare sul divano, mentre lei si faceva sempre più pressante. La luce giallastra del neon mi dava piuttosto fastidio. Chiusi gli occhi per qualche istante. Non so quanto tempo passò. Potevano essere stati tre minuti come quindici.
«Vieni con me. Qui siamo scomodi.»
Si alzò e si diresse verso la porta che dava sull’ingresso. La vidi sparire nella penombra.
«Allora? Ci sei o no?»
Mi decisi a seguirla. Appena uscito dalla cucina, ebbi la sensazione che fosse sparita.
«Cosa aspetti? Sono qui, sulla scala!»
Tirai fuori l’accendino dalla tasca e mi feci un po’ di luce.
«Non dirmi che non ci vedi?», disse ridendo. La rampa di scale si apriva su un piccolo pianerottolo quadrato di un metro di lato. A destra e a sinistra, distribuite su due brevi corridoi, le stanze del piano di sopra.
«Di qua, a destra. Attento ai gradini! Queste case vecchie ne sono piene!»
«Me ne ricordo molto bene.»
La intravidi mentre entrava in quella che, scopersi in quel frangente, era la sua camera. Accese l’abat-jour. Presero forma un grande armadio a sei ante, un comò che pareva essere piuttosto vetusto, sovrastato da una specchiera ovale abbastanza grande, due comodini e un letto matrimoniale.
«Benvenuto nel mio mondo! Che te ne sembra?»
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