Dall’ebook La vera storia dei nani di Biancaneve (che potrete acquistare qui) ecco come è cresciuto il villaggio dei nani nel secondo mese! Buona lettura!
Mese 2.
La crescita del numero di abitanti fece sì che si rendessero necessarie nuove figure professionali, che puntualmente giunsero al villaggio nei primi giorni del secondo mese di vita di quest’ultimo.
Giunsero alcuni medici di fama internazionale: gli ortopedici Malleolo e Clavicola, con la specializzanda Scapola; la cardiologa Sistola, col primario Professor Ventricolo; l’esperto in malattie dell’apparato respiratorio Alveolo; l’endocrinologa Ghiandola; il gastroenterologo Diverticolo; il fisioterapista Muscolo.
Fu poi la volta della sarta Asola, accompagnata dall’inseparabile marito Scampolo, dell’orologiaia Pendola, dell’orefice Ciondolo e, qualche giorno dopo, della farmacista Pillola, che portò con sé la cugina, una famosissima estetista di città di nome Cuticola.
Un mattino, poco dopo l’alba, giunsero sulla piazza cinque individui con due grandi carri, il primo pieno di macchinari e il secondo di libri. Il più anziano fece un cenno e la carovana si fermò proprio davanti a Jesolo che era sopraggiunto avendo udito lo scricchiolio delle ruote di legno dei due mezzi.
«Buon giorno! Cosa vi porta da queste parti?»
Il baffuto anziano scese rapidamente dal proprio seggiolino, facendosi incontro all’accogliente straniero: «Buon giorno! Siamo tipografi di Amburgo. Abbiamo deciso di cercare fortuna in questa parte della Sassonia e siamo rimasti affascinati dalle costruzioni che abbiamo visto a distanza, così da dirigerci verso questo splendido borgo. Mi presento: io sono Incunabolo e questi sono i miei figli Maiuscolo e Minuscolo. Il ragazzino che dorme lì, invece, è mio nipote Libercolo, con a fianco mio fratello, Opuscolo. Avete già una tipografia, in questo luogo così ameno?»
«In effetti, no. Il villaggio è nato solo da poche settimane e nessun tipografo si era mai presentato su questa piazza. Vi andrebbe di unirvi a noi?»
Incunabolo incrociò gli sguardi dei figli e del fratello, mentre il nipote continuava beatamente a dormire, per poi rispondere: «Certo che sì! Grazie mille per l’invito! Saremo onorati di diventare i tipografi ufficiali di… come ha detto che si chiama, questo posto?»
«Non si chiama. Al momento non ha un nome, ma prima o poi troveremo la giusta denominazione da affibbiargli!», chiosò sorridendo.
Va detto che il continuo afflusso di nuovi nani portò anche a situazioni spiacevoli che ebbero come conseguenza un rigurgito d’orgoglio da parte di Ugola. Dal primo momento, infatti, la donna aveva guardato con sospetto a tutti quelli che lei simpaticamente definiva “scappati da casa”.
Nell’arco di quel mese, infatti, arrivarono alcuni personaggi non propriamente corretti e onesti, verso i quali la maggior parte degli abitanti ebbe da subito un comportamento abbastanza freddo.
Da Dortmund, infatti, giunse un bieco individuo abituato a lavorare nell’ombra, talvolta artefice di loschi traffici, che all’anagrafe rispondeva al nome di Subdolo. Lui e il cugino Malevolo cominciarono a spargere zizzania tra i paciosi e pacifici nani, aiutati anche dalla fidanzata del secondo, tale Pettegola, che trascorreva le sue giornate a tagliare colletti ora all’uno, ora all’altro. Lasciati un po’ in disparte dal resto dei nani, costruirono le proprie abitazioni in una radura distante qualche decina di metri dalla piazza principale. Furono raggiunti anche da un oriundo delle Americhe espertissimo in veleni, Crotalo, con la bugiardissima figlia Frottola e l’antipatica moglie Gabola.
Fu, se possibile, la prima frattura all’interno di quel gruppo di operose piccolette e operosi piccoletti, ma è naturale che, al crescere della popolazione, cresca anche il numero di teste da riuscire a far andare d’accordo. E non sempre si riesca.
Un pomeriggio, in riva al fiume, Arboricolo e Agricolo videro alcune giovani ragazze che si godevano la piccola spiaggia di ghiaia bianca che riluceva tra gli alberi, ascoltando i loro discorsi.
«Dunque… di là c’è il nord, lì il sud, là l’est e lì l’ovest, giusto?», domandava la prima, muovendosi verso il bosco.
«Oh, mamma! E questi due chi sono?», si domandò, ritraendosi, dopo aver incrociato gli sguardi dei due ragazzi.
«Non si preoccupi! Siamo innocui!», disse Agricolo, mettendo le mani avanti e muovendosi verso la riva del corso d’acqua.
«Siamo due abitanti dell’erigendo villaggio che si trova a meno di un chilometro da qui. Io mi chiamo Agricolo e lui è il mio amico Arboricolo. Ci siamo solo stupiti nel vedere cinque graziose giovani come voi qui da sole!»
La ragazza che si stava interrogando sui punti cardinali, rassicurata, si presentò: «Mi chiamo Bussola, piacere. Le mie amiche mi portano sempre con loro perché dicono che ho un ottimo senso dell’orientamento!»
Nel frattempo, la ragazza distesa ad abbronzarsi, indispettita, sbottò verso l’amica che, spostandosi, le stava coprendo il sole: «E allora! Vuoi toglierti da lì, che non mi fai abbronzare, Nuvola?»
Bussola fece un’espressione di compatimento, per poi rivolgersi ai due ragazzi: «Non fate caso a lei! È una maniaca della tintarella. Sta sempre al sole. Ma sempre, eh… è la mia amica Lucertola…»
Completavano quel quadretto bucolico altre due giovani fanciulle. La prima delle due, quella che era loro più vicina, appoggiò a terra le due sfere di metallo pesante che teneva in mano per raggiungerli e presentarsi: «Buon giorno, ragazzi! Io sono la sportiva del gruppo e approfitto della situazione per allenarmi alla boule lyonnaise: mi chiamo Bocciofila. Quella che vedete là, fare avanti-indietro tra le sponde del fiume, a pelo d’acqua è una mia lontana parente veneziana, Gondola! Siamo in viaggio da sud a nord, ma senza una destinazione fissata. Cosa dicevate, a proposito del villaggio?»
I due giovani tentarono di fare colpo su quelle graziose nanette, arrivando al punto di invitarle, una volta che avessero finito la loro pausa relax, a prendere visione dell’agglomerato che stava lievitando come l’impasto per la pizza.
Fu così che, al calar del sole, il gruppetto si mosse verso l’abitato sulla cui piazza si stava celebrando il rito della zuppa. Cucchiaio di legno alla mano e sguardo fulminante, Ugola si fece incontro minacciosa al grido: «Altolà, chi va là, parola d’ordine!», ma non riuscì ad avvicinarsi più di tanto, complice un “piedino” dispettoso di Jesolo che la mandò per le terre, di fatto disinnescandola.
Fu un’altra serata di festa, durante la quale vennero imbastiti i progetti per la realizzazione delle abitazioni delle nuove arrivate.
Prima della fine del mese accadde, poi, qualcosa che nessuno dei piccoli abitanti si sarebbe mai aspettato. Una notte, infatti, la maggior parte di loro fu svegliata da ansimi, ululati, suoni gutturali e urla tra l’addolorato e il compiaciuto.
Tutti gli uomini si levarono dai loro giacigli e, armatisi fino ai denti con ciò che avevano in casa, si diressero verso quello che pareva essere il luogo d’origine di tutto quel frastuono. Da una parte riparata del bosco, nella quale tutti si avventuravano malvolentieri – anzi, che tutti evitavano accuratamente – pareva provenire una flebile luce, che si faceva più forte mano a mano che i coraggiosi nanetti si avvicinavano.
La scena che si aprì davanti ai loro occhi fu qualcosa di veramente impronosticabile: in un ambiente soffuso, su un giaciglio di paglia e lenzuola di cotone grezzo, un groviglio di corpi impegnati nell’orgia più fantasiosa che mente umana potesse immaginare. Un avvinghiarsi all’unisono con movimenti che nemmeno il più esperto dei contorsionisti avrebbe potuto progettare per un proprio spettacolo, le fronti imperlate di sudore e i corpi nudi nel fresco della notte, riscaldata solo da un falò acceso in prossimità di quel giaciglio.
Assolutamente ignari d’essere osservati, gli attori di quella scena boccaccesca continuarono per più di un’ora nelle loro evoluzioni, sotto gli sguardi attoniti – e pure parecchio invidiosi – dei nanetti accorsi, per poi crollare, esausti, a terra, fissando il soffitto composto da rami, cielo, luna e stelle.
Trascorsi che furono un paio di minuti, impiegati principalmente dai convenuti a calmare i propri bollenti spiriti, Jesolo e Romolo si fecero avanti.
«Ehm… scusate…»
Quello che sembrava essere il più rappresentativo del gruppo volse lo sguardo verso i due che avanzavano verso di loro, evidentemente imbarazzati e rispose: «Buona sera! Cossa ghe xé?», incurante del fatto di essere ancora completamente nudo – così come gli altri.
«Ecco… scusi l’imbarazzo, ma vorremmo capire cosa stiate facendo qui. Soprattutto, in questo stato.», disse Romolo, fissando con gli occhi sgranati il bassoventre dell’uomo – che pareva più alto da coricato che in piedi.
Tentando di lasciare da parte evidenti inflessioni dialettali, per nulla turbato dalle espressioni facciali dei due interlocutori, l’uomo rispose serenamente: «Siamo attori del settore del porno, stiamo provando i nostri spettacoli. Siamo stati cacciati dall’ultima città nella quale avevamo preso residenza, perché siamo stati giudicati immorali. Ma noi siamo seri professionisti del settore e vogliamo solamente allietare le persone con le nostre, diciamo, coreografie. E voi? Chi siete?»
Dopo un breve ma significativo silenzio, fu Jesolo a prendere la parola: «Mi chiamo Jesolo e sono il fondatore di una piccola, ma in forte crescita, comunità di nani che sta nascendo a qualche centinaio di metri da qui. Mi spiace molto che vi troviate senza dimora, al momento, ma certo la vostra attività – chiamiamola così – non credo sia ben vista da tutti. Vi chiederei la cortesia di rivestirvi, mentre parlo con i miei compaesani.», disse, indicando i cespugli dai quali un’altra decina di nani spuntava.
Si radunarono a una quindicina di metri da dove i quattro stavano provvedendo a coprire le proprie pudenda, confabulando sottovoce, ma in maniera accesa, per qualche minuto, nel tentativo di trovare una linea comune.
Fu eletto a portavoce il buon Creolo, che pareva avere qualcosa in comune con i due maschietti del gruppo, il quale esordì: «Non siamo assolutamente d’accordo con la vostra attività, ma non vogliamo lasciarvi in mezzo a una strada. Vogliamo aiutarvi, ma dovrete garantirci che scene come questa non si ripeteranno. Nella nostra comunità ci sono anche bambini e adolescenti e non è bene che vedano queste cose!»
Una delle due ragazze prese la parola: «Ma questo è l’unico lavoro che sappiamo fare! Come potremo mantenerci?»
Creolo fece un cenno con le mani come a dire si aspettare un attimo e si volse verso gli amici. Altra riunione, altro conciliabolo. Un paio di minuti in tutto, prima di tornare da loro.
«Avremmo pensato a una soluzione.»
«Quale?», chiesero i quattro all’unisono.
«Beh, potremmo costruire le vostre case e una sorta di teatro un po’ fuori dall’abitato, in una zona appartata, così che chi voglia partecipare alle rappresentazioni sia libero di farlo senza vergognarsi. Chiaramente, solo maggiorenni!»
A questo punto, furono i quattro a prendersi qualche secondo di tempo, per poi rispondere alla proposta ricevuta.
«Per noi va benissimo! Costruiremo una sorta di quartiere a luci rosse! È una grande idea!», disse il portavoce del gruppetto.
Jesolo si affiancò a Creolo, facendo le presentazioni, per poi chiedere i loro nomi.
«Mi me ciamo Bigolo, lei è Mugola, lei Areola, lui, invece, il mio grandissimo collega francese Gigolò. Grazie davvero per la disponibilità!»
Fu così che il gruppo prese la via del villaggio, che stava diventando qualcosa di estremamente complesso e rappresentativo della società umana. Uno spaccato assolutamente fedele delle umane attitudini e perversioni. E ancora non era finita…
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