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Questo dodici agosto è un giorno speciale, per me. Proprio questa sera, a Montechiaro, sarò protagonista della seconda presentazione della mia vita. Presentazione dei miei scritti, a partire dai polizieschi, ma anche di parte di ciò che sono e di come intendo il mio lavoro – che come ho già scritto tempo addietro, mano a mano che il tempo passa assume sempre maggiormente le sembianze della missione.

Presentare un libro, ho scoperto, è qualcosa di emozionante. È un momento nel quale, a bocce ferme e di fronte a persone che spesso non conoscono ciò che hai scritto, ti vengono poste domande che ti fanno riflettere sulla tua “opera” e sul tuo modo di scrivere, di raccontare, di utilizzare la tua fantasia per cercare di suscitare un’emozione in chi legge.

La scrittura, per me, è terapeutica e fonte di soddisfazione. A prescindere dal successo editoriale o di pubblico. A prescindere dalle eventuali critiche – sempre accolte quando sono costruttive – e dalla fatica che faccio per trovare il tempo. E non sempre l’equazione tempo=ispirazione è vera… quando scrivo posso vivere vite sempre diverse, posso raccontare un mondo che esiste ed è reale, dandogli una chiave di lettura anche surreale. Posso innamorarmi di un personaggio e del suo modo di essere, “facendo il tifo” per lui e quasi somatizzando i momenti nei quali debba soffrire per ragioni di trama. E poi, mi stupisco ogni volta della fantasia che riesco ancora a mettere in campo. Spunti che arrivano dalla quotidianità, certo, ma non ne sono fotografia fedele. Insomma, se non si fosse capito, amo scrivere.

Presentare, però, è un’altra cosa. E, nonostante io sia abituato a parlare in pubblico per lavoro (da docente all’università tenevo corsi con circa duecento persone e come dirigente scolastico parlo davanti a collegi docenti che contano tra centocinquanta e centosettanta persone) ogni santa volta è come se fosse la prima. Mai panico, quello no, ma un sano timore in merito a quanto in profondità potranno andare le domande e a quanto sapranno farmi scavare in un io che quasi mai vuole uscire all’esterno. Non per paura, no. Per pudore e per manifesta incapacità di adeguarsi a ciò che all’esterno impera. E, forse, tutto questo si rispecchia nei miei libri, dove accanto all’aberrazione del crimine vivono i principi di chi lo combatte. Dove il rimorso assume dimensioni spropositate, fino a diventare un buco nero che ti mangia da dentro. Dove l’amore consente di vedere rosa e luminoso anche il nero più buio.

Montechiaro, sono pronto!

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