Ecco qualche altra pagina del romanzo “Il fiume”, che è acquistabile qui. Buona lettura!
«Sai, non avevo mai pensato prima di fare… beh, mi hai capita, no?»
Quanto pudore le si poteva leggere sul viso. Era fatta così. Forte, determinata, ma di una pulizia di sentimenti totale. Nel dormiveglia, quella notte, disse una frase che mi colpì.
«So che tu non credi e non vuoi sentir parlare di queste cose, ma sono convinta che quello che abbiamo fatto non sia peccato. Non per noi!»
Adesso so cosa volesse intendere. Adesso che è così lontana. Per lei no, non era peccato. Per me sì. Mi ero arrogato il diritto di disporre di lei, del suo corpo. Della sua testa, anche. Avevo raggiunto il mio scopo, anche se di mio avevo messo poco. Era stata lei, nonostante quella frase che voleva escludere ogni sua premeditazione, a condurre i giochi. Io mi ero limitato ad accettare, sicuramente di buon grado, quella situazione. Molte volte, durante i suoi discorsi, fece menzione di quella sua prima volta. Che, d’altra parte, era stata anche la mia. Ne parlava sempre col sorriso sulle labbra, ma mai in pubblico. Non ne avrebbe mai avuto il coraggio. O, più semplicemente, la voglia. Pare che il ricordo del primo rapporto sia qualcosa di indelebile, per una donna. Forse è per questo che noi uomini siamo così fortemente legati al concetto di verginità femminile. Togliere l’illibatezza equivale a farsi ricordare per sempre. Magari con odio, dopo una storia finita male. Magari con rimpianto, dopo altre dieci terminate peggio. L’importante è il ricordo. A me non importava nulla di essere diventato parte integrante e incancellabile della sua vita. L’importante, per me, era il soddisfacimento delle mie esigenze, la piena espressione del mio egoismo. Fino all’altra notte, tutte le volte avevano lo stesso significato. Non una che spiccasse tra le altre per un qualunque motivo. Ciascuna era solo, immancabilmente, una volta in più. Hanno preso significato tutte insieme, alle tre di un mattino scosso da un temporale di violenza inaudita. Quell’estate mi vidi, mio malgrado, trascinato in una vacanza in bungalow.
«Allora siamo d’accordo. Due settimane al mare, tra la fine di luglio e i primi d’agosto, non ce le toglie nessuno»
«Guarda che io non mi muovo di qui. Tutti i tuoi progetti sono assolutamente inutili. Ho un sacco di cose da fare e, poi, non me ne frega assolutamente di andare a patire il caldo in Riviera!»
«Ma su! Non è possibile che tu faccia sempre tante storie! Nemmeno se ti portassi in un campo di concentramento! E poi ho già anche prenotato.»
«Un motivo in più per non venire. Hai fatto tutto senza chiedermi niente, per farmi trovare davanti al fatto compiuto, vero? Beh, hai sbagliato i tuoi conti!»
La mia protesta non fu molto efficace, anche perché, giorno dopo giorno, mi convinsi che quella sarebbe stata un’ottima occasione, senza genitori o nonni tra i piedi. Peggioravo a vista d’occhio, sotto questo aspetto. Stavo addirittura riducendo le mie visite al cimitero. Un po’ per i ritmi che Mara stava cercando di impormi, un po’ perché sentivo molto di meno la spinta emotiva che mi aveva accompagnato fino ad allora. Se prima potevo essere considerato scontroso, asociale, anche matto, da qualche tempo stavo diventando schifosamente opportunista. Cattivo, per dirla con una parola. Il freddo della morte lasciava lentamente il passo al gelo di un ego senza sentimenti. Credo che, tutto sommato, il periodo che aveva preceduto il mio incontro con Mara fosse scivolato via senza la stessa aridità che ha contraddistinto gli ultimi anni. È semplicemente assurdo. Il bene ha generato il male. I buoni sentimenti di una ragazza come ne esistono poche, al giorno d’oggi, non hanno fatto altro che scatenare il buio di una notte senza stelle. Una notte che, immancabilmente, ha colpito anche lei.
© Roberto Grenna – Riproduzione vietata