Dall’ebook La vera storia dei nani di Biancaneve (che potrete acquistare qui) ecco il finale! Buona lettura!
Mesi a seguire.
In un luminoso mattino di quell’estate, proprio in corrispondenza di un’ansa del fiume, Creolo e Agricolo notarono due persone intente a pescare. Appropinquatisi, attesero con pazienza che uno di loro si girasse per salutarlo con un cenno della mano. Una volta entrati in contatto visivo, i quattro scambiarono qualche parola.
«Buon giorno! State facendo buona pesca?»
«Non ci lamentiamo!», disse il più anziano dei due, mostrando una nassa piena di prede.
«Complimenti! Siete di queste parti?», domandò Agricolo.
«In realtà, no. Siamo originari di una città a due ore di cammino da qui, ma stiamo cercando un altro posto dove andare a vivere. Io sono vedovo da poco e questa è mia figlia. Siamo pescatori di professione e amiamo la natura: la città non fa proprio per noi!»
«Allora siete capitati nel posto giusto! A poche centinaia di metri da qui stiamo costruendo un villaggio abitato solamente da nani. E vedo che voi siete… come dire… della giusta misura! Se volete possiamo accompagnarvi dal fondatore. Io mi chiamo Agricolo e questo è il mio amico e collaboratore Creolo.»
«Molto piacere! Io mi chiamo Cefalo e lei è Camola.»
Raccolti che ebbero i loro effetti personali, si incamminarono insieme verso il villaggio. Percorse poche decine di metri, si imbatterono in un giovane vestito con abiti mimetici, alto circa un metro, con un grande cesto di vimini al gomito.
«Buon giorno!», salutò.
«Salve! Così vestito, sembra un cacciatore, ma non vediamo fucili!», disse Creolo.
«No, infatti! Sono in questo bosco per dedicarmi al mio passatempo preferito: la ricerca dei funghi. Dove siete diretti?»
I quattro raccontarono molto in breve la storia del villaggio senza nome, specificando come si trattasse di un unicum nel suo genere.
«Mi avete davvero incuriosito! Posso venire con voi? Non escludo di trasferirmi anche io, vista la particolarità del luogo e il fatto che questo borgo sorge proprio nel bel mezzo della mia foresta favorita! Oh, non mi sono nemmeno presentato, scusate! Io sono Ovolo.»
Una volta assorbiti i nuovi nel tessuto del villaggio, in rapida successione arrivarono altri nani, alcuni dei quali veramente particolari.
Dall’Italia, infatti, giunse una fabbricante di cappelli, tale Coppola, che fu seguita da una sua parente dedita ad attività ai limiti – e talvolta anche oltre i limiti – della legalità, Cupola e da una fabbricante toscana di articoli di pelletteria, Cintola. Fu poi la volta di cinque sorelle, Brugola, Valvola, Ventola, Bombola e Manopola, che aprirono una bottega di articoli per il fai-da-te, l’idraulica e la meccanica. Giunse anche, da Rotterdam, una giovane che sbarcava il lunario vendendo giornali e riviste, tale Edicola, che aprì la propria attività in uno degli angoli di quella che ormai era la piazza principale del paese.
Anche i liberi professionisti conobbero nuovi arrivi, così che Regolo e i geometri potessero essere coadiuvati nella progettazione degli spazi: l’architetto Pinnacolo, i suoi assistenti Pianerottolo – specializzato in condomini – e l’Ingegner Calcolo – che si occupava di tutta la parte volumetrica dei progetti – con il capomastro Perpendicolo, portarono nuova linfa creativa mentre lo specialista di arredi urbani Cordolo si occupò di rendere meno grezze le finiture dei luoghi pubblici.
Giunsero, poi, esperti di varie materie e di vari mestieri: gli insegnanti Vocabolo e Virgola; l’entomologo Bacherozzolo, con il suo dottorando Bozzolo – che si stava specializzando nella produzione di seta; l’aracnologa Tarantola; l’esperto in rappresentazioni grafiche, Simbolo, con il fratello espertissimo in dialetti di tutto il mondo, Vernacolo; il laringoiatra Smoccolo con la sua assistente Caccola; il dipanatore di matasse, Bandolo, accompagnato dal cugino, un famoso studioso di assembramenti di nome Nugolo; il produttore di arredi da giardino, Dondolo, con l’esperto in voliere, Trespolo; la specialista in grigliate, Graticola, e il garden designer Ciottolo.
Fu, poi, la volta di alcuni studiosi della fauna, dottorandi e ricercatori in veterinaria, dell’università di Ratisbona, Scoiattolo, Scricciolo, Allodola, Puzzola, Chiocciola, Donnola e Granseola.
Una notte, mentre la maggior parte della popolazione dormiva, entrarono in paese due figure che parevano assolutamente a proprio agio nelle tenebre. Senza far rumore, si esibirono in passi di danza sfrenata al centro della piazza, attirando l’attenzione di Jesolo e Romolo, che li raggiunsero.
«Che succede? Come mai state danzando in maniera così agitata? Chi siete?», domandò il secondo.
La ragazza, accortasi della presenza dei due interlocutori, si arrestò e fece cenno al suo compagno di fermarsi: «Oh, scusateci tanto! Non volevamo disturbare! Siamo due nottambuli e stiamo tornando da una serata passata in balera. Stavamo continuando a seguire, nelle nostre teste, le splendide note della musica che abbiamo ascoltato. Non volevamo svegliarvi!”
I due uomini si guardarono, prima che Romolo riprendesse: «Ma dove abitate?»
«Siamo girovaghi, viviamo dove siamo accolti e offriamo la nostra collaborazione per svolgere tutte quelle attività notturne che la gente non ama compiere. Io mi chiamo Nottola e lui è Crepuscolo!»
Inutile dire che furono accolti e aggregati alla comunità.
Un pomeriggio, in maniera decisamente spocchiosa, arrivò in piazza un nano vestito in maniera elegante e appariscente, accompagnato da una nana bellissima, anche lei vestita e ornata come una principessa, di coscia parecchio lunga.
«E allora? Dove siete tutti? Nessuno è qui ad accogliere il più ricco nano della foresta, che ha deciso di farsi costruire una villa proprio all’ingresso di questo borgo di poveracci?», urlò il supponente nuovo arrivato.
La sua compagna, atteggiandosi a vera vamp, si guardava intorno con aria schifata, quando dalla sua sinistra giunse Jesolo: «Come mai urla in questa maniera? Cosa vuole?», domandò, pensando tra sé e sé: “Ma una volta che serve Ugola con il fucile, dov’è? Io proprio non li sopporto, gli arroganti…”
L’uomo, con fare altezzoso, ribadì: «Sono qui per portare un po’ di classe e di ricchezza in questo posto dimenticato da Dio! Sono un ricco nobile di Friburgo in Brisgovia e voglio costruire qui la dimora che ospiterà me e la mia consorte. Mi chiamo Gruzzolo e questa è mia moglie Sventola.»
Jesolo, visibilmente contrariato dall’atteggiamento dell’uomo, provvide a far chiamare Regolo e a metterlo a disposizione dei due: «E mi raccomando, che la loro casa sia molto distante dal paese!», gli sussurrò all’orecchio, prima di accomiatarsi.
A tarda sera sopraggiunsero un ragazzo e una ragazza, che si facevano luce grazie a una torcia tenuta in mano dalla giovane. Romolo, che stava rincasando dopo un sopralluogo nel quartiere a luci rosse, si imbatté nei due. Grande fu il suo spavento nel vedere il ragazzo, al punto che un urlo squarciò il silenzio della notte.
«Non si spaventi! Siamo solo due viandanti che si sono persi e che cercano un po’ di ospitalità.», disse la giovinetta avvicinandosi all’uomo.
«Scusate, ma la vista di questo figliolo mi ha molto impressionato. Siete soli? Così giovani?»
«Sì, siamo senza genitori e stiamo scappando dall’orfanotrofio che ci ha ospitato fino a ieri. Vorremmo trovare una famiglia disposta ad adottarci. Siamo stati molto sfortunati e vorremmo poter dare tutto l’amore del quale siamo capaci a due genitori che ci vogliano bene!»
Romolo, visibilmente commosso, li abbracciò: «Se vi basta anche solo un papà, vi accoglierò a casa mia molto volentieri. Che ne dite?»
I due adolescenti si guardarono con le lacrime agli occhi e accettarono di buon grado, ricambiando l’abbraccio.
«Certo che con te la sfortuna si è proprio accanita!», disse l’uomo guardando il ragazzo, «Hai avuto qualche incidente?»
Il giovane, per nulla messo in difficoltà da quella domanda, rispose con serenità: «No, signore. Purtroppo, il mio viso è così da quando sono nato.»
«Ma non chiamarmi “signore”! Io sono Romolo e da oggi mi chiamerete “papà”!»
«Va bene, Romolo… cioè, papà! Io sono Mostriciattolo e lei è Fiaccola.»
In rapida successione, poi, arrivarono altri personaggi quanto meno particolari: una bancaria di nome Cedola, che aprì uno sportello della Nano Bank; una postina, di nome Epistola, che arrivò con la sua borsa di cuoio piena di lettere; in una calda giornata di luglio, poi, giunse una donna di nome Canicola, che sembrava trovarsi proprio a suo agio in quella situazione. Arrivarono anche due negozianti di articoli per la casa e la cucina, Sottopentola e Schiumarola; giunsero poi due contadine, Forcola e Roncola, che andarono ad aiutare Agricolo, Creolo e Cingolo nel loro lavoro; arrivò anche una produttrice di zucchero, tal Barbabietola, che immediatamente identificò gli spazi per l’installazione di una piantagione; era accompagnata da due colleghe, specializzate in frutta e verdura – Fragola e Rucola – e da due cugini, anche loro coltivatori diretti: Broccolo e Nespolo.
Un pomeriggio, in prossimità delle prime abitazioni del villaggio, si sentirono tonfi sordi e urla di dolore. Allarmati, alcuni abitanti vollero verificare cosa stesse accadendo. Videro con sorpresa un ragazzino molto giovane che pareva calamitato da ogni spigolo gli si parasse d’innanzi, con la conseguenza che vi sbattesse violentemente la testa. Tutto ciò, nonostante il tentativo di evitarlo da parte di un adulto, con il quale stava percorrendo la strada.
All’ennesima testata, svenne. Jesolo, Romolo e Foscolo, che si erano avvicinati, accorsero in aiuto.
«Ma cosa succede? Perché questo giovane continua a sbattere la testa contro ogni spigolo che incontra?», domandò il poeta.
«Aiutatemi a farlo riprendere e vi spiegherò tutto!», disse l’uomo che l’accompagnava.
Chiamato il Dottor Malleolo, l’ortopedico, che era stato raggiunto al villaggio dalla celeberrima collega, Dottoressa Costola, si provvide a far riprendere il ragazzo mediante l’utilizzo dei sali.
«Accidenti! Quanti colpi ha preso? Ci sono lividi e tumefazioni ovunque!», esclamò il medico.
Riaperto che ebbe gli occhi, sorrise a tutte quelle persone che lo attorniavano e lo stavano aiutando, per poi svenire nuovamente.
«Questa settimana è la quinta volta che succede. Non sono più in grado di evitargli tutte queste botte!», disse l’accompagnatore, «Fin da piccolo ha sempre picchiato più e più volte al giorno la testa, così che io sono stato scelto come suo tutore, nel tentativo di evitargli la peggio. Purtroppo, Bernoccolo, così si chiama, soffre di una particolare forma di labirintite. E, nonostante tutto il mio impegno, non riesco proprio a fargli terminare una giornata senza che abbia la capoccia piena di bozzi. A proposito, mi presento: mi chiamo Paraspigolo!»
Grazie a una barella, ricoverarono Bernoccolo nella clinica del villaggio – dove fu raggiunto nei giorni successivi dai fratelli Tubercolo e Peduncolo – mentre Creola, Pentola e Ciotola si occuparono dello stremato Paraspigolo, rifocillandolo, consentendogli un momento di relativa tranquillità e presentandogli un altro nano bisognoso di un tutore, Mignolo.
Giorni dopo giunsero alcuni personaggi altrettanto curiosi, in rapida successione. Dapprima, arrivò un ometto barbuto e vestito come se dovesse conquistare la vetta dell’Everest. Accolto a braccia aperte da Jesolo e a fucile spianato (ma senza cartucce, accuratamente nascoste dal compagno) da Ugola, l’uomo raccontò di come vivesse da anni, solitario, proprio in cima a una montagna, nutrendosi di bacche e radici.
«E come si chiama?», domandò Romolo.
«Cocuzzolo.», rispose.
Pochi minuti dopo, mentre ancora il nuovo arrivato si stava presentando agli altri abitanti riunitisi in piazza, fu la volta di due individui mal vestiti con pelli di animali, con lineamenti duri e quasi antichi, che giunsero pronunciando suoni gutturali. Fu complesso riuscire a comprendere i loro nomi, che alla fine risultarono essere Cavernicolo e Palafitticolo. E poi, ancora, un uomo e una donna dai lineamenti orientali, dagli occhi a mandorla e dai vestiti esotici.
«Allivale da paese lontano, in Asia. Io Mongolo e lei mia moglie Mongola!», asserì l’uomo, con più di qualche difficoltà d’espressione.
Fu così che, settimana dopo settimana, mese dopo mese, si arrivò in prossimità del Natale, con la neve che già la faceva da padrona sulla foresta da un po’ di giorni. Fortunatamente, dal nord, era giunta una abile maglierista, di nome Muffola, che aveva preparato guanti per tutti. Così come, dal Trentino, era giunta Ciaspola, che aveva fornito racchette da neve a tutti gli abitanti e che aveva portato con sé la sorella, abilissima in falegnameria, di nome Mensola, con il marito Truciolo e la figliola, Tavola.
Proprio il ventiquattro dicembre, nel pomeriggio, giunse una slitta trainata da splendidi cani Husky, che portava alcuni parenti di don Turibolo: la sua cuginetta, in odor di santità, Aureola, un’anziana zia, preparatissima in fatto di canti natalizi, Carola, con la sorella, bravissima a intrattenere i bambini, che si chiamava Favola; insieme a loro, due famigerate esperte di giochi da focolare, Tombola e Briscola, e un giovane specializzato in feste e parate, Coriandolo, insieme a un grandissimo musicista di nome Zufolo.
Al centro della piazza fu innalzato un enorme abete attorno al quale tutti cantarono e ballarono e che, adornato come si conveniva per quelle feste, simboleggiò il Natale, in tutti i sensi, di quello sperduto villaggio senza nome dei nani di Sassonia.
E vissero tutti felici e contenti… tranne Ugola!
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