Ecco qualche altra pagina del romanzo “Il fiume”, che è acquistabile qui. Buona lettura!
Ho di nuovo mal di testa. Da quanto non dormo più? Una settimana? Non ricordo. A dire il vero, neppure mi interessa. Nulla potrà distogliermi dal mio obiettivo. Sono arrivato qui usandomi la stessa violenza che ho usato nei confronti di chi mi ha amato, ma è ancora nulla, se confrontata a ciò che ho in mente. A questo punto, francamente, non so più neppure io se sperare in un Dio o se augurarmi che l’unica vita sia quella che trascorriamo qui. Non so se sperare di avere un’anima o rassegnarmi ad essere solo il frutto di un rapporto che ha avuto come unico scopo il piacere carnale. Beh, non che me ne importi poi molto. Qualunque sia stata la mia origine, ho sprecato ciò che mi è stato donato. Non sono riuscito a comprendere che il destino, dopo avermi duramente colpito, stava cercando di farsi perdonare, se così si può dire. Mi stava restituendo più di ciò che mi aveva tolto. L’ho capito solo ora, guardando con lucidità, per quanta ne possa avere in questo momento, i comportamenti e i caratteri delle due donne che hanno riempito la mia vita. Da un lato, Elena. Sicura di sé, forte, indipendente. Quasi dura, a volte. Dall’altra parte, Mara. Riflessiva, matura, ma dolce e a volte indifesa. Addirittura troppo accondiscendente, anche se aveva imparato come prendermi, come trattarmi. Penso che sarebbe riuscita a rendere felice qualunque ragazzo. Chiunque non l’avesse vista come un mezzo per prendersi qualche rivincita nei confronti della vita. Le mie idee si fanno sempre più confuse. I ricordi lasciano spazio ad un’amarezza che, purtroppo, non ha alcun potere sul tempo, sul susseguirsi degli avvenimenti. Quella vacanza in bungalow, se solo fossi stato in grado di interpretarla nella giusta maniera, avrebbe potuto schiudermi le porte di una vita normale. Non tanto per quello che accadde, quanto per l’atmosfera che era possibile respirare in quei giorni. Nonostante la mia brontolante presenza, infatti, quelle due settimane trascorsero in un clima di assoluta serenità. Sebbene non provassi per Mara, così credevo allora, nulla più che semplice attrazione fisica, seppi farmi trovare al posto giusto nei momenti nei quali ebbe bisogno di me, della mia presenza. Per il mio schifosissimo tornaconto personale, lo ammetto, ma quel comportamento fece in modo che anche lei si sentisse amata. Forse felice. Andavo perdendo anche l’ultima caratteristica positiva che mi era rimasta, la schiettezza. L’avevo sempre trattata male, è vero, ma era quello che mi sentivo di fare. Non mi ero mai posto il problema di sembrare differente da come in realtà fossi. Non la volevo intorno e glielo facevo capire in maniera palese. Dopo le sue dimostrazioni di interesse nei miei confronti, ma soprattutto dopo l’inizio della nostra storia, avevo cominciato un viaggio senza ritorno attraverso il tunnel dell’ipocrisia. La parola ‘tunnel’ è utilizzata per ben altri viaggi, per percorsi che, un buco dopo l’altro, portano alla perdita totale della coscienza e della voglia di combattere. Beh, ecco: “Tunnel” descrive esattamente il percorso che ho compiuto io. Molte vie di fuga si sono presentate attraverso le sue pareti, molte opportunità davanti alle quali mi sono presentato cieco. Accecato, forse, dalla forte luce che da quegli spiragli feriva i miei occhi, dall’energia di un sole che ha cominciato a splendere più forte proprio mentre io mi spingevo verso la notte. La solitudine, i pensieri, i ragionamenti, i “se”, i “forse”. Sono tutti mezzi per andare a fondo nel proprio io, per conoscersi meglio. La sincerità, invece, è l’unica cura per il male che coglie lo spirito, se esiste, o comunque la testa. Quel male di vivere che tanto bene fu descritto da Montale. Egli opponeva l’indifferenza al dolore causato dal mondo agli uomini, ma cosa si può opporre al male che gli uomini portano nel mondo? C’è la convinzione che l’indifferenza sia quanto di peggio si possa dimostrare nei confronti di qualcuno. Non è vero. Ho sperimentato sulla mia pelle che carpire la buona fede altrui, giocando con i sentimenti di chi riponga tra le nostre mani la propria vita, è il male peggiore che si possa esprimere. Credo che anche all’odio si possa porre un limite. All’egoismo e al menefreghismo, no. Pochi giorni dopo il ritorno dal mare, la notte di San Lorenzo, volle farsi accompagnare in collina ad osservare le famose ‘lacrime’ del Santo. Litigammo. Nonostante i miei profondi cambiamenti, infatti, avevo ancora ben vivo in me il ricordo di quella stella fiorentina. Quella stella che non era stata in grado di esaudire il mio desiderio, che, anzi, mi aveva fatto illudere. L’illusione è qualcosa di terribile. Nel momento più importante, crolla come un castello di carte mal costruito. Porta con sé tutti i sentimenti, tutte le convinzioni, tutta quella parte di te che, ciecamente, le era corsa dietro. Mi sto convincendo che ognuno di noi, durante la sua vita, si riveli cieco di fronte a qualcosa. Ai difetti di una persona, ad esempio. Oppure, ai propri. Mi vengono in mente le parole del mio professore di religione al liceo. Era un laico, ma sembrava essere molto più motivato di un religioso. «Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere, né peggior sordo di chi non vuol sentire.», diceva sempre. Non riesco a dargli torto. Non sono stato in grado, però, di accorgermi in tempo di ciò che mi stava accadendo. Sono le situazioni che ti portano a vedere solo una parte di ciò che ti si para davanti. Spesso, solo la parte che fa maggior piacere vedere. Non ricordo come mai decisi di andare con lei. Forse, solo per evitare che continuasse a pregarmi fino al mattino. Non so. Mi portò tra le vigne, in un posto che, d’estate, è a dir poco meraviglioso. Parcheggiò la macchina in uno spiazzo che si apriva sul ciglio della strada sterrata che avevamo percorso, poi tirò fuori dal bagagliaio quello stesso plaid che mi aveva scaldato l’inverno precedente.
© Roberto Grenna – Riproduzione vietata