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Mancano ventisei giorni al 14 settembre. Il D-Day del nuovo anno scolastico (e scrivo D-Day non a caso) si avvicina a lunghi passi. Siamo pronti? E chi può dirlo? Stiamo pedestremente seguendo le indicazioni che ci arrivano dagli organi competenti, non lasciandoci influenzare dagli articoli di giornale, dagli stati Facebook nei quali si dichiara “Il 14 settembre io non autorizzo nessun personale della scuola ad isolare mio figlio se dovesse presentare improvvisamente qualche linea di febbre… Nessun personale sanitario può prelevare mio figlio da scuola in mia assenza traumatizzandolo! Non firmerò nessun foglio di autorizzazione che prevede questo tipo di trattamento… Fino alla maggiore età io genitore sono unico tutore di mio figlio!”. È dura lavorare così. La miniera è sicuramente peggio, ma la disinformazione e la cattiva fede uccidono. Già siamo sotto pressione per cercare di adempiere al meglio alle richieste di Ministero, CTS e organismi vari, se poi ci si mettono anche queste cose – che hanno il potere di scatenare gli istinti peggiori delle persone – siamo belli che panati. Non passa giorno senza che qualcuno mi chieda “Allora? Cosa succederà il 14 settembre?”. Non passa giorno senza che, con profondo imbarazzo, io risponda: “Non lo so. Noi stiamo lavorando per essere pronti, qualsiasi situazione di contagio ci sia!”

È triste non avere risposte per chi, legittimamente, si preoccupa del bene dei propri figli – cosa della quale, lo giuro, ci preoccupiamo anche noi. È triste non avere, talvolta, i mezzi per poter incidere sulle situazioni in essere.

Ma… c’è un “ma”. Sinceramente, non ho mai visto tanta attenzione al mondo della scuola come negli ultimi mesi. Sembra che, finalmente, un intero Paese abbia capito che la Scuola è quella che gli detta i ritmi, quella intorno alla quale tutto il resto ruota – sebbene non produca ricchezza materiale (e sottolineo materiale). Sembra che, in un momento di crisi mondiale, qualche soldino sulla scuola venga riversato – sebbene sempre lasciando la responsabilità civile, penale e amministrativa di tutto sui Dirigenti Scolastici, autentici parafulmini del sistema. Sembra che anche Ragazze e Ragazzi sentano, finalmente, come la Scuola sia parte integrante della loro vita e patiscano la lontananza da essa.

Ma… c’è un altro “ma”. Ed è un “ma” grosso. “Ma” non è così che si può risanare la Scuola italiana, a mio avviso. Ben vengano tutti gli interventi d’emergenza e gli investimenti di questi mesi per far ripartire il tutto. Ciò che serve, però, è un progetto a medio e lungo termine, una riforma non della scuola, ma del suo ruolo nel Paese. Ciò di cui la scuola ha bisogno è lungimiranza nella gestione, nell’impostazione e nel reclutamento. È un’idea a trecentosessanta gradi di “ambiente sociale formativo”, per sopperire alle tante carenze evidenziate dalla società di oggi. È, di fatto, la possibilità di rimettersi in gioco, buttando il “si è sempre fatto così” e aprendo le braccia per accogliere novità strutturali che possano migliorare una scuola che, già con le stampelle com’è ora, è di gran lunga migliore di quelle degli altri Paesi.

Io credo nella Scuola, intesa come Popolazione Scolastica. Vorrei poter continuare a farlo…

2 Replies to “Work in progress”

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