Ecco qualche altra pagina del romanzo “Il fiume”. Buona lettura!
Brusco, come sempre. E dire che l’avevo lì, accanto a me. Un angelo che mi ha protetto per tanto tempo, che ha cercato di rendere molto soft, molto leggero, il passaggio dal mio mondo alla vita. Proprio quella che, ora, mi pesa terribilmente. Proprio quella che, tra poche ore, vedrà l’ennesima svolta. Man mano che mi avvicino, con i miei ricordi, mi rendo conto di quanto il mio comportamento sia stato irrazionale. Se, prima di mettermi insieme a lei, la mia condotta era stata, nella sua follia, assolutamente costante, al crescere, al progredire di quel rapporto da lei fortemente voluto e da me vissuto quasi come un gioco, essa si trasformò in qualcosa di ancora più folle, di ancora meno prevedibile. Spesso la colpivo con riflessioni profonde, altre volte con osservazioni decisamente cattive e pesanti. A volte, poi, dimostrava le ferite che le si aprivano dentro con una semplice smorfia, con qualche minuto di silenzio.
«Spesso mi domando come tu riesca a sopportarlo, mio figlio. Ha un carattere veramente pessimo e ogni tanto mi viene da pensare che sia realmente cattivo. Nel vero senso della parola!»
«Non deve dire così! Io credo che abbia solamente bisogno di aprirsi un po’ di più con gli altri. Ecco, io vorrei solo essere in grado di aiutarlo, niente di più!»
Mi capitò in parecchie occasioni di ascoltare i discorsi tra Mara e mia madre. A volte, sinceramente, ebbi paura di ciò che la seconda avrebbe potuto dire. Non per cattiveria. Neppure per voler rendere pubblici i fatti miei. No. Temevo che, nel tentativo di aiutare quella ragazza che considerava ormai come una di famiglia, si lasciasse andare troppo. Non accadde. Ne ho la quasi certezza. Va detto, anche grazie a lei. Avrebbe potuto, in quei momenti nei quali io non ero presente, o, meglio, ero presente a loro insaputa, dare sfogo a tutta la sua curiosità, informandosi sul mio passato, sui motivi per i quali mi comportavo in quel modo. Non l’ha mai fatto con me, non lo fece mai neppure con lei. È sempre stata, andando anche contro i propri interessi, di una correttezza esemplare.
«Ho appuntamento con il professore di Didattica per parlare della tesi. Mi accompagneresti?»
Mi rivolse quella domanda all’inizio del suo quarto anno. Era fermamente intenzionata ad ultimare l’università nei tempi giusti.
«Finire per luglio sarà difficile, ma sicuramente dovrei farcela per la sessione autunnale! Così potrei presentare le domande per le supplenze presso le scuole. So che non servono praticamente a nulla, ma almeno ci provo!»
La luce che vedevo nei suoi occhi indicava una forte determinazione. Quella stessa determinazione che l’aveva accompagnata quando mi frequentava come amica.
«Beh, direi che mi è andata molto bene! Cosa te ne pare?»
«Non so. Non è che ne capisca molto. L’unica parte chiara di tutto il discorso è stata quella riguardante le esperienze che dovrai fare come insegnante.»
«Quella è la parte più interessante! Dovrò spiegare i differenti modi nei quali ci si può porre di fronte ad una classe, analizzandoli alla luce della teoria della didattica. La seconda parte riguarderà, invece, la mia esperienza come esercitatrice per il corso di Analisi I. Comincerò all’inizio del secondo semestre. Non potrò presenziare agli esami, ma comincerò a prendere contatto con il mondo dell’insegnamento. Per me è molto importante!»
© Roberto Grenna – Riproduzione vietata