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Sembra una vita fa, quando il sabato sera era il momento nel quale staccare la spina, possibilmente divertendosi con fidanzata e amici, tendenzialmente facendo le ore piccole. Probabilmente, è una vita fa… mi sento una batteria ricaricabile a fine ciclo di vita. Attendo il sabato sera quasi con leopardiana ansia, sapendo che la domenica sarà foriera di preoccupazioni nuove e – sportivamente parlando – probabilmente di qualche nuovo motivo di arrabbiatura (come ho avuto modo di scrivere su Facebook qualche tempo fa, “Certo che, per rinascere e tifare Grigi, nelle mie vite precedenti devo essere stato come minimo Caino, Nerone, Erode, Hitler, Stalin e Pinochet… non “uno tra”… tutti insieme!!!“). Forse, lo attendo semplicemente per mettere fine a una settimana complicata, oppure pesante, oppure ancora non andata per il verso giusto. Forse, perché so che potrò dormire un paio d’ore in più durante la notte – salvo poi essere più rimbambito del solito la domenica.

Beh, questa settimana il sabato arriva a mettere fine a un crescendo di sensazioni, qualcuna positiva, molte negative. Arriva a mettere il punto a sei giorni nei quali l’unica notizia positiva è stata la chiamata del mio medico che mi comunicava l’esito negativo del tampone (sì, sono entrato in contatto con una persona positiva e ho seguito tutta la trafila prevista, che è durata quasi dieci giorni). Accompagnata dai “Ben tornato!” con i quali poche persone amiche mi hanno riaccolto al lavoro. Arriva a porre una pietra definitiva – almeno lo spero – a una querelle che mi ha visto protagonista mio malgrado nei confronti di un famoso personaggio politico molto attivo sui social – perché credo fermamente che la scuola debba rimanere fuori dalle polemiche politiche e ancora più fermamente che non si possa e non si debba utilizzarne una specifica per tirare l’acqua al proprio mulino, incuranti delle conseguenze dei propri gesti. Arriva a farmi capire, una volta di più, che per tanta passione e tanta attenzione che si possa mettere nel lavoro, arriverà sempre qualcuno che si comporterà come quel piccione che, giocando a scacchi, abbatterà tutti i pezzi, cagherà sulla tastiera e se ne andrà via impettito convinto di essere il vincitore. E metterà in dubbio non solo ciò che fai, ma anche ciò che sei. E ti giudicherà. No, non il tuo lavoro. Giudicherà te, come se sapesse chi sei, la strada che hai percorso, i dubbi che hai nell’anima prima che nella testa, i tuoi valori. Arriva a raccontarmi che – nonostante l’impressione che chi mi conosce possa avere di me – le mie spalle sono larghe, ma non infinite. Così come la pazienza. Così come le risorse fisiche e psicologiche. Così come – purtroppo – la voglia donchisciottesca di lottare contro le ingiustizie e le “cose sbagliate” del mondo. Arriva a dirmi che il non aver paura di decidere e di scegliere, probabilmente, è solo una manifestazione dell’incoscienza e di uno spirito chiaramente anticonservativo. Arriva a dirmi che no, nemmeno questo autunno riuscirò ad andare a funghi. Giusto per stare un po’ da solo in mezzo a una natura già abbondantemente stuprata dall’uomo, ma che ancora sa concedermi brevi momenti di stacco. Arriva a dirmi che il tempo che passo con i miei figli è sempre troppo poco. E nemmeno di qualità. Arriva a dirmi che giovedì la nostra piccola ha compiuto quattro anni e io ne ho vissuti con lei meno della metà, per la maggior parte del tempo passandoli dormendo.Come per il grande, che ne ha compiuti sette a luglio. Arriva a dirmi che sono schiavo del peggior padrone che esista, verso il quale qualsiasi ribellione è complicata fino a tendere all’impossibile. Arriva a far sì che mi interroghi su come stia vivendo le mie giornate, combattuto tra il desiderio di lavorare per il bene degli altri – che non sono “altri” qualunque, ma sono il nostro futuro – e l’incapacità di tenermi stretti gli unici “altri” – l’unico futuro – che avrebbero il diritto di vivermi maggiormente.

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