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Nella Sicilia Spagnola dei primi del Seicento nasce e muove i primi passi come fattucchiera Giulia Tofana, una cortigiana che si rese protagonista di più omicidi per avvelenamento.
Anidride arseniosa, limatura di piombo e antimonio furono gli ingredienti che le consentirono di creare un veleno praticamente inodore e insapore: l’acqua Tofana, che veniva venduta in bocce da mezzo quarto, per le quali venivano sborsate cento doppie d’oro.
Con quel veleno si poteva ottenere una morte lenta e priva di sospetti: la somministrazione doveva avvenire gradualmente, poche gocce tutti i giorni all’interno di bevande o cibo. I sintomi potevano sembrare quelli di una banale influenza o di una intossicazione alimentare: nausea, febbre, spossatezza. Nel giro di quindici giorni, però, sopraggiungeva la morte.
Un commerciante, non seguendo le indicazioni date dalla donna, aveva somministrato una grande dose di veleno a un suo rivale, facendo in modo che le indagini portassero immediatamente a identificare nell’avvelenamento la causa della morte.
La Tofana, denunciata dall’uomo, insieme alla figliastra Girolama Spana, fuggì a Roma, dove riprese la sua attività, divenendo anche amante di religiosi e nobili.
Girolama divenne, di fatto, sua stretta collaboratrice, ma anche a Roma, un cliente non seguì le indicazioni e si fece scoprire. Si era intorno al 1651 e da allora si persero le tracce dell’avvelenatrice. Si ipotizza che sia morta tra il 1655 e il 1659, ma non vi sono certezze in merito.
Girolama, invece, che aveva proseguito il lavoro della matrigna, insieme ad altre quattro donne, resse ancora per quattro anni, fino al 1655, quando fu scoperta e, insieme alle comari che l’avevano aiutata, fu condannata all’impiccagione.

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Fonti:

A. Assini, Giulia Tofana. Gli amori, I veleni, Scrittura & Scritture, Napoli, 2007.
V. M. Mastronardi, R. De Luca, I serial killer – Il volto segreto degli assassini seriali: chi sono e cosa pensano? Come e perché uccidono? La riabilitazione è possibile?, Newton Compton Editori, Milano 2009.

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