Ho scelto di fare dell’insegnamento una professione. Ho scoperto quasi subito come in realtà fosse una missione.
Ho voluto lasciare quella professione scegliendone un’altra, pur senza cambiare missione. Ma non bastava scegliere di diventare dirigente scolastico: bisognava studiare, impegnarsi e, perché no, avere anche un po’ di fortuna, visto che si doveva superare un concorso. Ho studiato, mi sono impegnato e ho avuto un po’ di fortuna.
Non mi sono mai risparmiato, credendo fortemente che la scuola debba essere l’incubatrice dalla quale escano persone migliori per il futuro dell’Italia, in grado di colmare le lacune lasciate da quelli della mia generazione e non solo.
Non ho mai smesso di farmi domande. Sulla mia vita, certo. Ma soprattutto su come rendere più incisivo il lavoro svolto dalla scuola che dirigo, condividendo sempre idee, progetti, buone prassi.
Ho persone che lavorano con me fianco a fianco che credono in ciò in cui credo io – e non necessariamente in me e nella persona che c’è dietro il dirigente – e forse per questo la squadra funziona. E non posso che essere loro grato per tutto ciò che fanno.
Ho tanta stanchezza addosso, che talvolta mi fa vacillare in quanto a lucidità e che spesso mi fa domandare chi me l’abbia fatto fare.
Poi, basta un messaggio di un ex-studente o di una ex-studentessa che ancora, inspiegabilmente, mi esprime la propria stima per convincermi che no, non posso proprio mollare…