Una delle serial killer più prolifiche della storia era figlia di un militare aristocratico ungherese e della sorella del re di Polonia, discendente di una delle casate più importanti d’Ungheria. A causa dell’abitudine dell’epoca di sposarsi tra parenti, all’interno dell’albero genealogico della donna erano presenti molti casi di malattie neurologiche o mentali, così come ricorrenti erano alcolizzati, sadici e assassini. Probabilmente affetta da epilessia, la bellissima Erzsébet crebbe nella tenuta di famiglia in Transilvania, iniziata, pare, al satanismo da uno zio. Fu promessa in sposa al conte Ferenc Nádasdy quando aveva solamente undici anni. Sposò l’uomo – che le cronache descrivevano come un sadico che amava torturare la servitù, pur tuttavia senza ucciderla – nel 1575. Valente condottiero, il conte era sempre lontano da casa per combattere gli Ottomani, così che la gestione delle proprietà toccò alla moglie. Costei amava intrattenersi con una sua zia, che la iniziò al sadismo e alle orge, abbandonandosi molto spesso a relazioni con uomini o donne indistintamente. Leggenda vuole che un giorno, dopo aver brutalizzato una domestica, alcune gocce del sangue della serva fossero cadute su una mano della donna. La contessa – successivamente – rilevò come proprio in quel punto la sua pelle apparisse ringiovanita. Con l’avallo di alcuni alchimisti, si convinse che lavarsi con il sangue di giovani e belle ragazze, ovvero berlo, l’avrebbe aiutata a mostrarsi sempre giovane.
Nonostante il marito fosse complice delle sedute di tortura organizzate dalla moglie (durante le quali la contessa si abbandonava ad azioni di una crudeltà indicibile, strappando lembi di carne con ferri che si era fatta costruire all’uopo, infilando aghi nei capezzoli o sotto le unghie delle proprie vittime, bruciando loro i genitali con la fiamma di una candela e arrivando a strappare a morsi pelle e carne per berne il sangue) con il tempo arrivò egli stesso ad averne paura, rimanendo sempre più lontano da casa, in battaglia o tra le lenzuola delle proprie amanti. Ammalatosi nel 1601, Nádasdy morì tre anni dopo, lasciando la donna libera di esprimere le proprie perversioni senza più alcun ritegno.
A farne le spese, inizialmente, furono le figlie dei contadini che popolavano i territori di proprietà dei Báthory, che venivano rapite nei campi o nelle proprie abitazioni da persone fidate e che trovavano la morte tra atroci sofferenze. Uno strumento che la contessa si era fatta costruire per i suoi “giochi” era una gabbia piena di punte all’interno della quale, a seguito delle torture, la vittima veniva letteralmente dilaniata viva dalle aguzze lame.
Pur consapevoli del fatto che all’origine delle sparizioni delle proprie figlie ci fosse la donna, gli abitanti di quelle terre non avevano alcun tipo di protezione e di possibilità di richiedere l’intervento delle autorità.
Con il passare degli anni, Erzsébet alzò il tiro: costituì all’interno del palazzo una sorta di scuola di buone maniere per le figlie dei nobili, così da avere le proprie vittime recapitate a domicilio direttamente dalle famiglie. Il potere e la ricchezza della sua famiglia la protessero ancora per un po’, ma alla lunga, la sparizione di giovani nobildonne cominciò a dare nell’occhio. Fu l’imperatore Mattia II a ordinare un’ispezione in gran segreto all’interno del castello dei Báthory, che condusse gli inviati della corona a sorprendere la contessa durante le sue malsane attività.
Condannata per un numero di omicidi che le cronache ufficiali riportano tra i 100 e i 300 – mentre la leggenda racconta di un diario dal quale si evincerebbero 650 vittime – fu murata viva all’interno di una stanza del castello, dove poteva ricevere solamente il cibo attraverso una fessura. I suoi più stretti collaboratori furono torturati e uccisi.
Fonti:
M. Newton, Dizionario dei serial killer, Newton Compton Editori, Milano 2004.
https://it.wikipedia.org/wiki/Erzsébet_Báthory
http://www.occhirossi.it/biografie/ContessaBathory.htm