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Ho recuperato – Dio solo sa con che colpo di fortuna! – questo racconto scritto alla fine del millennio scorso. È piuttosto acerbo e pieno di imperfezioni editoriali (giusto per capirci: puntini di sospensione che proliferano, maiuscole dopo i puntini di sospensione, virgolette per segnare i discorsi diretti…), ma è genuino, esattamente come quando fu scritto. A distanza di quasi un anno dall’ultimo post, Ve lo propongo alla lettura.

“Una media chiara, grazie…”
“Arriva subito… Se intanto vuole accomodarsi ad uno dei tavoli…”
“Grazie…”
Vedo, in mezzo alla gente, un ragazzo che conosco. Non ci si trova da un sacco di tempo…
“Ciao!”
Alza la testa, quasi spaventato dal mio saluto. Mi fissa, sorride.
“Ma ciao! Quanto tempo!”
“Già… Saranno almeno un paio d’anni…”
“Ma tu pensa… Abitiamo ad un tiro di schioppo e ci vediamo in questo locale a casa del diavolo… Curioso, vero?”
Già… Come, del resto, tutta la vita…
Un susseguirsi di coincidenze, talvolta fortunate, altre volte meno.
“Allora… Cosa mi racconti? In tutto questo tempo ne saranno successe, di cose, no?”
”Beh… In effetti…”
Mi siedo lentamente, in attesa della mia birra e con in testa solo frasi di circostanza.
“E il lavoro? Come va? Sei sempre in quell’azienda?”
“Sì… Ormai credo che ci rimarrò a vita… Sempre che loro mi vogliano…”
Sorride.
“Sono già quasi cinque anni che lavoro lì. Sono cambiate le mansioni, non il mazzo che uno deve farsi, no… Anzi.. Se possibile, è ancora aumentato… Comunque sia, sono uno di quei pochi fortunati che studiano per vent’anni in un campo e poi riescono anche a trovarci lavoro…”
“Non ti sento particolarmente soddisfatto…”
La cameriera arriva con la mia birra.
“Ne porterebbe un’altra anche a me?”
“Mah… Non so neanche io cosa pensare… Il lavoro in sé non mi spiace, la remunerazione è ottima, ma…”
“Ma?”
“Ecco… Mi sento frastornato dal continuo aggiornamento, dal fermento tecnologico che cresce ogni giorno di più… Non faccio in tempo ad imparare una cosa nuova, che subito devo metterla nel dimenticatoio per assimilarne altre due… È micidiale, ti garantisco…”
“Ti credo… Io, per fortuna, mi sono ‘disintossicato’ dalla tecnologia… Lavoro in una comunità per ragazzi difficili e mi trovo a meraviglia…”
“Ammirevole… Io non so se ne sarei in grado…”
“Guarda… Posso dirti tranquillamente che sono molto più normali i miei ‘ragazzi difficili’ rispetto ai figli di papà che vanno in giro a rigare le macchine… I miei, almeno, l’hanno fatto per un forte disagio, non per noia…”
Sorseggio distrattamente. La sua affermazione mi colpisce.
“Già… Hai proprio ragione… Vien da dire che, in alcuni casi, è meglio crescere senza famiglia piuttosto che con certi genitori…”
“Vero… Noi cerchiamo di regalare un sogno a questi ragazzi: il sogno d’una vita normale, lontani dalla strada e dalle brutte tentazioni che può portare…”
Si avvicina al tavolo una ragazza bionda, molto alta. Si siede accanto a Marco.
“Ti presento Andrea, la mia ragazza…”
Mi alzo e mi avvicino per stringerle la mano.
“Piacere, Davide.”
“Piacere”, mi dice con uno spiccato accento tedesco.
“E bravo il nostro Marco”, penso…
Poi, un turbinio di ricordi.
Fisso per qualche attimo, che mi pare lunghissimo, lo sguardo sul bicchiere contenente la birra, che lentamente faccio girare tra le dita.
Marco si accorge del mio momento di disagio. Nonostante non ci si veda da un bel po’, mi conosce molto bene e sa dare un perché alle mie reazioni.
Forse più lui di me.
“Che ti prende? Qualche ricordo spiacevole?”
Già… Proprio quello…
“No… Niente di particolare…”
Lo vedo assorto per un paio di secondi, poi, la domanda che mi aiuta a vuotare il sacco.
“Riguarda forse la tua storia con Monica?”
Un grande… Se capisce i ragazzini come interpreta me…
“Mmmh… Già…”
“Ho toccato un tasto…”
“No… Non ti preoccupare… Intanto, prima o poi sarebbe venuto fuori… È inutile far finta di non pensarci… È sempre qui, presente…”
“Vi siete lasciati?”
“In un certo senso…”
“Cioè?”
“Cioè è lei che ha lasciato me… ‘Incompatibilità di carattere’, ha detto… Dopo quasi nove anni, ti rendi conto? Ha avuto la faccia tosta di dirmi che mi lasciava perché non andavamo d’accordo… Mah…”
“E… Quando…”
“Il mese scorso… È ancora fresca…”
“Mi spiace… Non sapevo… Non volevo…”
“Non ti preoccupare… Anzi… Sicuramente mi farà bene parlarne… Sempre che tu ed Andrea, a proposito, complimenti veramente, abbiate voglia di ascoltare…”
Sorridono come si può sorridere di fronte ad una battuta amara, abbozzando un “Grazie” per il mio apprezzamento.
“Sai… Quando prima hai detto che ai tuoi ragazzi vuoi regalare un sogno mi sono sentito una fitta qui… Ho pensato al mio, infranto ed ormai irrecuperabile, ed egoisticamente sono stato male…”
La birra sta finendo. Ne ordino un’altra. Grande, questa volta…
“Ho passato questi ultimi nove anni credendo in qualcosa per cui ho combattuto e che ora non c’è più…”
Faccio un’altra pausa. La prolungo, vedendo la ragazza che porta la mia birra.
“Guarda che se non hai voglia di parlarne…”
“No, no… Tranquillo… Adesso mi sfogo, poi mi raccontate voi dove vi siete conosciuti e che progetti avete…”
Bevo avidamente.
“Vi dicevo… Svegliarsi all’alba rendendosi conto che ciò che ti stava facendo volare a dieci metri da terra altro non era che un sogno ed accorgersi che è svanito non appena hai aperto gli occhi è una sensazione che non auguro a nessuno…”
Sposto lo sguardo verso il muro.
“Ho iniziato questa storia con i classici dubbi di tutti… ‘È una ragazza troppo bella, per me’… ‘Non potrà durare’ e via discorrendo… Piano piano, tra mille difficoltà, abbiamo cominciato la costruzione di quello che, fino al mese scorso, è stato il mio sogno nonché ragione di vita.”
Mi ascoltano attenti. Anche Andrea, che spero riesca a comprendere tutto quanto sto dicendo.
“Abbiamo trascorso i primi due anni, travolti dalla passione, a fregarcene altamente dei suoi e dei miei, che non vedevano di buon occhio la nostra storia… Si sono abituati, convinti, ad un certo punto, che eravamo sufficientemente grandi per decidere noi. Ci siamo scontrati mille e mille volte a causa dei nostri due caratteri, effettivamente molto forti ed effettivamente molto diversi. Abbiamo superato bufere inenarrabili, modificando di volta in volta i nostri atteggiamenti ed adattandoci, anche se la parola è brutta, alle esigenze dell’altro…”
Il fumo del locale mi fa bruciare gli occhi.
Ho la sensazione che Andrea e Marco non siano gli unici ad ascoltare la mia storia.
Non mi giro indietro, né guardo gli altri avventori. Ogni tanto il soffitto, ogni tanto il muro, ogni tanto i due piccioncini.
Sono una coppia perfetta. Raramente mi sbaglio in queste valutazioni ‘a pelle’. Sono molto ben assortiti e si guardano occhi negli occhi con una dolcezza propria delle persone profonde e profondamente coinvolte.
Credo che dureranno molto.
Forse tutta la vita.
Esattamente ciò che speravo io…
“Ci siamo usati spesso e volentieri violenza, per cambiare, in nome di quella coppia che credevamo inseparabile, capace di resistere a tutti gli eventi ed a tutti gli agenti esterni. Abbiamo raggiunto i nostri obiettivi insieme, aiutandoci l’un l’altra, sebbene a distanza e vedendoci sì e no otto ore a settimana…”
Marco sembra volermi dire qualcosa. Mi fermo e lo guardo, facendogli un cenno con il capo.
“No, nulla…”
“Dimmi, dimmi…”
Gli sorrido, rassicurandolo. Sembra quasi aver paura di farmi maggiormente male.
“No… È solo che mi sembra impossibile che sia finita… Sembravate destinati al matrimonio, a diventare una di quelle famiglie felici che sanno come crescere i figli e che vivono in armonia qualsiasi cosa succeda… Voglio dire… Qualcosa dev’essere cambiato, per arrivare a questo…”
Abbassa gli occhi e li volge poi, subito dopo, verso Andrea.
“Lo credo anch’io. Non so cosa… Non so, o forse semplicemente non voglio, farmene una ragione… Avevamo cominciato a parlare di matrimonio, di realizzare il mio sogno… L’ho già usata troppe volte questa parola… M’impegnerò a non farlo più…”
Mi sorridono. Non posso sbagliarmi: sono veramente una il completamento dell’altro.
“Dicevo… Il matrimonio. La cosa ha cominciato a vacillare proprio lì, non appena questa parola è uscita dalla mia bocca. Già, perché sono stato io il primo a parlarne… Forse perché, adesso lo so, ero io a volerlo. Solo io, intendo… Comunque sia, lì è cominciata la fine, circa un anno fa. Dapprima sfuggiva al discorso semplicemente lasciando cadere la cosa e parlando d’altro. Poi, sollecitata più volte ad esprimersi, mi ha lasciato di sasso con alcune affermazioni…”
Passa la cameriera. Ordino qualcosa da mangiare. In fondo, sono quasi ventiquattr’ore che non metto nulla sotto i denti.
“Un panino speck e brie ed una porzione di patatine. Abbondante. Ah… E un’altra birra… Grazie.”
Mi giro verso i miei interlocutori, i miei due primi interlocutori. Già… La parte di locale più vicina sembra calamitata dal mio racconto.
“Ragazzi… Voi prendete qualcosa?”
Fanno cenno di no con la testa.
“No, grazie… Abbiamo già cenato…”
“Scusate se mi sono interrotto, ma già che ci sono sgranocchio qualcosa… Dov’ero rimasto?”
“Alle sue affermazioni che ti hanno lasciato di sasso…”
“Ah, già… Beh… La prima frase che mi ha sconvolto è stata ‘Ora come ora non ne vedo il motivo’… Ora, va bene che per sposarsi si debba essere in due, va bene che i fidanzamenti lunghi siano di moda, ma… Una frase del genere mi ha ucciso. Letteralmente…”
“Ci credo… Sarebbe stato così anche per me…”
Andrea lo fissa intensamente, quasi a volerlo rassicurare. È di una dolcezza indescrivibile… E poi dicono che le germaniche sono fredde…
Continuo con il mio racconto, anche se, ormai, le cose da dire si riducono a due o tre…
“Da quell’affermazione, è stato tutto un crescendo di dubbi, di insinuazioni… Si pensava a dove andare a vivere e nessun posto andava bene… Una volta decisa, con fatica, la città, abbiamo iniziato a vedere gli appartamenti: troppo grande, troppo piccolo, troppo vecchio, troppo poco luminoso, troppo in periferia… Vi lascio immaginare il mio sconforto… Trovata casa (una villa da quasi trecentocinquanta milioni), non andava bene il fatto che si dovesse fare un mutuo… Mi ha messo alla prova su tutti i fronti… Ed io che trovavo ogni volta una soluzione… Fino al venti del mese scorso…”
Finalmente, il panino. Un morso, un sorso di birra, un altro morso.
“Ci siamo visti, come al solito, sabato mattina. Aveva una faccia scura, da temporale. Anzi, da tempesta. Ci siamo salutati. Avevamo in programma un giro per i negozi d’arredamento. Ci siamo seduti in macchina e siamo partiti. Dopo due semafori, il classico ‘Senti… Devo dirti una cosa…’ Alla faccia della cosa… ‘Ho capito che questa storia non può andare avanti: tu ed io siamo troppo diversi…’ Avrei dovuto accendere il mutuo la settimana dopo… Per lo meno, non sono pieno di debiti…”
Altri due morsi e del panino non c’è più traccia. Una ragazza seduta su uno dei divanetti alle mie spalle mi fissa. La vedo nello specchio che spunta dietro la testa di Marco.
“Diplomatica, eh?”
“Già… Una diplomazia tutta sua… Non ha fatto altro che dire ‘Mi dispiace, ma non me la sento di andare avanti, specialmente adesso che stiamo considerando l’idea di sposarci…’ ‘Considerando l’idea’, capite… Per lei impegnarsi con una banca per più di duecento milioni è ‘considerare l’idea’… L’ultima frase che mi ha detto la porterò scolpita in mente fino alla fine dei miei giorni… ‘Forse avremmo dovuto farlo prima’ Ho accostato, le ho detto di scendere. Il giorno dopo le ho riportato tutto quello che mi aveva regalato. Tutto. Non volevo, ed anche ora, a mente fredda, non voglio, avere più nulla a che fare, con lei… Mi ha preso in giro per nove anni, capite? Ed io, imbecille, accecato da un miraggio che mi ha reso incapace di valutare la situazione per quello che era: una studiata presa per i fondelli… Non so se da subito… Voglio concedermi quest’ultimo dubbio… Sicuramente, però, da molto tempo…”
Gli occhi di Andrea, di un grigio-verde bellissimo, mi sembrano un po’ arrossati. Il locale, del resto, è pieno di fumo che già a me ha dato fastidio…
“L’ho amata con tutto me stesso. Non avevo mai provato prima un sentimento come quello e credo, dopo questa delusione, di non poterlo più provare per nessuna… Mi sono addormentato un venerdì sera fasciato da un sogno e mi sono risvegliato il sabato mattina catapultato in un incubo… La cosa che mi fa stare peggio, comunque, è il fatto di non essere stato in grado di accorgermene prima… Ho costruito un palazzo su fondamenta d’argilla… Non poteva fare altro che cadere… Mi sono ripreso bene, perché dopo l’ultima sua frase l’ho odiata… Pensa… Non sono mai stato in grado di odiare nessuno… Nemmeno quel bastardo che ha cercato d’ammazzarmi in macchina… Sono riuscito ad odiare la mia ragione di vita…”
Arrivano anche le patatine. Non ho quasi più voglia di parlare, ma sento che devo ancora qualcosa alla mia platea, che via via si è affezionata a questa storia ed al suo protagonista…
“Devo dire che questa esperienza mi ha fatto capire molte cose… Una su tutte: la caduta di un ideale, lo svanire di un’illusione possono essere mortali, se non si è capaci di controllarsi… La mia fortuna è stata…”
Parlo e mangio. Non sarà molto educato, ma odio le patatine fredde…
“La mia fortuna è stata la mia voglia di reagire, di dimostrarle che il torto era ed è tutto suo, di farle capire che di persone come me, che ancora combattono per ciò in cui credono, che sono in grado di annullarsi totalmente, ne esistono poche. Farò qualcosa di grande… Non so ancora cosa, ma sarà umanamente enorme… Impallidirà di fronte alla mia grandezza… Una grandezza che, tutto sommato, otterrò anche grazie a lei ed al suo gesto…”
Un silenzio irreale avvolge tutti dopo la mia ultima frase. Dalla zona alle mie spalle, timido, un battimani. È quella ragazza che mi fissava, la vedo… La seguono altri… E poi altri ancora… Infilzo l’ultima patatina, abbassando la testa.
Terminato l’applauso, con noncuranza, cambio discorso.

© Roberto Grenna – Riproduzione vietata

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